Veterani del New York Jazz: Dave Liebman

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Source Own work Author Hreinn Gudlaugsson, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.

 

Dave (o David) Liebman, sassofonista tenore e soprano americano, considerato da molta critica jazz il maggior soprano sassofonista vivente dopo la scomparsa di Steve Lacy, ha una carriera magnifica alle spalle che si è già compiuta. Autore di una discografia serrata, con produzioni che nell’ultimo decennio sono arrivate a sette/otto uscite discografiche in media all’anno, Liebman è anche conosciuto per i suoi libri specifici sul modo di migliorare l’armonia e la melodia nell’improvvisazione jazz e avere un approccio musicale personale. L’artista di Brooklyn, in effetti può essere considerato un degno continuatore di quella dinastia fondata da John Coltrane e poi portata avanti da Wayne Shorter e Joe Henderson, che stava dando un contributo fortissimo alla ricerca moderna del jazz: attraverso esperimenti sullo strumento, che potevano consistere in un’uso diverso delle notazioni musicali o delle scale, oppure sullo sviluppo di tecniche del fiato, si cercavano nuove modalità per l’ improvvisazione jazz anche nelle sue forme libere e la ricerca si espandeva soprattutto su un più ricco ed espressivo utilizzo dell’armonia e della melodia. Il contributo specifico di Liebman sta proprio nell’aver saputo approfondire queste tematiche ed aver creato dei propri “patterns” musicali di riferimento, creando un personale dialogo con lo strumento.
Data la vastità del suo catalogo musicale, vi segnalo (a grandi linee ed in un’ottica in cui riveste importanza l’aspetto della composizione) le opere migliori, tenendo presente i vari momenti storici in cui l’artista si è trovato.
Liebman ottiene visibilità grazie agli albums di Elvin Jones (“Genesis” soprattutto) e di Miles Davis periodo post-Bitches Brew (“On the corner” e “Get up with it”): siamo agli inizi degli anni settanta, in piena epopea jazz-rock, con riferimenti chiari alle mode funk e fusion; la carriera solistica si inquadra quindi in quest’ambientazione e i suoi primi lavori (gli splendidi albums “Lookout farm” (dal nome del suo primo gruppo), “Drum Ode”, “Sweet Hands”) rivelano un sassofonista “emotivo”, che fa delle sue escursioni solistiche allo strumento un elemento catalizzatore per albums che la critica jazz ha inserito nelle proprie playlists di lungo corso. Allo stesso tempo, però, non si può nemmeno trascurare che il suo partners principale al pianoforte, Richie Beirach, gli abbia dato una grossa mano nel suo percorso, anzi penso sia stata la spalla ideale per lui, poichè entrambi condividevano una preparazione “classica” che spesso si avverte negli assoli dei due musicisti. Beirach oltre a suonare nei dischi che vi ho elencato prima, forma con Liebman un vero e proprio duo che viene poi aumentato a quartetto o quintetto con l’aggiunta di altri musicisti, formando diversi gruppi tra cui non si può dimenticare l’esperienza Quest. Vengono dati alle stampe albums di una maturità assoluta come “Forgotten Fantasies” e “Dedications” (lp che non sono stati ancora stampati su cd, un delitto direi) “Chant”, ove le influenze classiche si incrociano con memorabili improvvisazioni jazz; inoltre, notevoli sono anche i lavori con il gruppo Quest, dove chiaramente risultano più forti le relazioni jazz. Parallelamente la sua attività si divideva sapientemente anche in altri progetti, alcuni più tradizionali, che consistevano in quartetti o quintetti di be-bop avanzato con elementi free (vedi il quartetto di “Pendulum” o il quintetto di “If they only knew” con Scofield (ch.) e Terumasa Hino (tromba) e altri, realmente innovativi, come i dischi a progetto in completa solitudine: i concept (album a tema) “The Loneliness of a long distance runner”, “The tree” e più tardi “Time Immemorial” e “Colors”, in cui Liebman suona anche il tenore (preferito troppo presto al soprano) e strumenti affini, dà dimostrazione della sua “grandezza” artistica, con dei “set” affascinanti e totalmente proiettati verso le suggestioni degli argomenti trattati.

A partire dagli anni novanta, la produzione diventa notevole e pedissequamente l’artista cerca di rielaborare il vecchio repertorio o gli standards andando però incontro a soluzioni meno interessanti: da segnalare solo il trio con Cecil McBee e Billy Hart, con l’aggiunta di Pat Metheny in “Elements: Water” e le collaborazioni con un quartetto di musicisti “nordico” (specialmente in “Far North”).
Nell’ultimo decennio tantissimi i lavori usciti, tra cui si segnalano i duetti con Marc Copland (sebbene l’album sia quasi interamente composto da cover), il quartetto di “Conversation”, gli adattamenti jazzistici di temi classici nelle “Vienna Dialogues” con il pianista Bobby Avey.

Discografia selezionata: (come leader)

-Lookout farm, ECM 1973
-Drum Ode, ECM, 1974
-Sweet Hands, A&M, 1975
-Forgotten fantasies, A&M, 1977
-Pendulum, Artists House, 1978
-Dedications, CMP 1979
-If they only knew, Timeless 1980
-The loneliness of a long-distance runner, CMP 1985
-Quest, Trio-Kenwood, 1981 (uscito nel 1992)
-Quest II, Storyville 1986
-The tree, Soul Note 1990
-Chant, CMP 1991
-Quest, Natural Selection, Evidence 1994
-Elements: Water, Give of life, Arkadia Jazz, 1999
-Time Immemorial, Enja 1997
-Colors, Hatology 2003 (registrazioni del 1998)
-Conversation, Sunnyside 2003

Collaborazioni in cui è presente in maniera più o meno rilevante:

-Genesis, Elvin Jones, Blue Note, 1971
-My goals beyond, John McLaughlin, Douglas, 1971
-Open sky, Pm Records, 1973/Spirit in the sky, PM 1977 (Open Sky Trio)
-On the corner, Columbia 1972/Get up with it, Columbia 1974, Miles Davis
-People in me, Abbey Lincoln, Philips 1973
-Trio plus one, con D. Holland e J. DeJohnette, Owl/Emi, 1988
-Visions, Contemporary/Sail Away, Ojc, Tom Harrell, 1989
-Far North, con Danielsson, Christensen, Stenson, Curling Legs, 1994
-Bookends, Marc Copland, Hatology 2002

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.