Il monumento creato dentro The Art of Perelman-Shipp

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Nel gergo musicale il termine “monumentale” ha un significato ben preciso, mutuato dall’arte architettonica: allo stesso modo con cui si studiano (osservando in profondità) tutti i particolari offerti da una chiesa o un edificio di particolare rilevanza, nella musica si dovrebbe poter evidenziare dettagli plurimi di una costruzione sonora che ha nel fascino della scoperta, nell’articolazione delle sue qualità artistiche e nel senso scultorio di una grandezza creata evidentemente per quel momento storico, i suoi imprescindibili punti di forza. Teoricamente dovrebbe indicare e trasmettere non solo imponenza e maestosità, ma anche un fine senso del pensiero degli uomini che l’hanno resa tale. Nella storia della musica di opere monumentali ne abbiamo avute molte, partendo dagli incanti intrecciati della polifonia, responsabili di aver agito in simbiosi con la mole delle architetture dell’arte profusa per la Chiesa, fino ad arrivare alle soluzioni musicali ibride dei nostri tempi: opere monumentali sono i manoscritti ritrovati per interpretare e celebrare la musica medievale e rinascimentale, sono monumentali i libri dei madrigali di Gesualdo e i volumi delle funzioni musicali riorganizzate da Bach, così come sono monumentali le variazioni microtonali di The Well Tuned Piano di La Monte Young o i concerti sperimentali del sonno di Robert Rich. Quanto alla significatività non è difficile pensare come i monumenti restino la testimonianza del cammino (evoluto) dell’uomo.
Un eguale pensiero, dettato dalla stessa predisposizione all’allargamento espositivo degli argomenti, sembra essere alla base delle ambizioni sonore di Ivo Perelman, che ne vorrebbe creare un concetto appropriato per l’improvvisazione: i suoi 7 (dico sette) cds appena pubblicati come The Art of Perelman-Shipp sono un emblema di questa ambientazione sonora moderna, che si permette il lusso di una partnership di base con uno dei più grandi pianisti viventi (Matthew Shipp), di lanciare agganci al mondo della pittura (tutte le copertine sono espressioni astratte di Ivo) e dell’astrologia per convenienza artistica (i sette titoli dei cds sono riferiti a Saturno e ad alcune delle sue lune). La divisione in sette capitoli tende anche a coprire una variazione stilistica riferibile ai musicisti chiamati ad unirsi nel progetto: il solo vol. 6 “Saturn” è suonato senza complementi, mentre il trio ricorre per 4 volte, due volte con l’aggiunta del contrabbasso (William Parker nel vol. 1 “Titan” e Michael Bisio nel vol. 4 “Hyperion“) e due volte con aggiunta di batterista (Bobby Kapp nel vol. 2 “Tarvos” e Andrew Cyrille nel vol. 7 “Dione“); nella completezza delle forme abitualmente sperimentate dal sassofonista di origine brasiliana, il quartetto si esprime due volte (con Parker e Whit Dickey nel vol. 3 “Pandora” e con Bisio e Dickey nel vol. 5 “Rhea“). Queste registrazioni Brooklyn-iane sono l’equivalente di un monumento? Si, e lo sono per diversi aspetti. Il primo è legato al contenuto musicale: se avete la pazienza di ricercare i miei estesi scritti su Perelman e Shipp, scoprirete perché Perelman ha inventato un suo stile nel sax tenore o perché Shipp possa omologarsi come una potente condensazione trasversale che va dai pianisti jazz agli studi per piano di Ligeti o altri autori contemporanei; ma in questi sette cds si raggiunge in maniera quasi naturale quella prospettiva matura che l’improvvisazione oggi deve fornire per garantirsi un futuro, ossia impone la maturità dell’ascoltatore, non dev’essere un sub-prodotto recidivo del jazz, deve essere in grado di dare un’adeguata comunicazione all’ascoltatore che ricomponga un’amletica contraddizione tra la vita e la realtà. In un libro di Howard Mandel, Cecil Taylor dichiarava che ….”..There are two things we start to realize when we get older: that there is a duty to serve – the inner self, but also to serve those who would be listening – and that the reason one serves is because one want to express the joy of living, and so it becomes a celebration of life…. (da Miles, Ornette, Cecil: Jazz Beyond Jazz, Howard Mandel, Routledge 2008). Il sax e il piano di Perelman e Shipp sono l’esatta affermazione dei nostri tempi: lo strazio o l’implosione sono elementi che devono essere inclusi in quella sana “celebrazione della vita” visualizzata da Taylor e di questi (e di tanti altri dettagli musicali) i sette volumi sono pieni. Questa celebrazione si compie nel segno di una spettacolare presentazione del senso dello sviluppo della musica e in una reiterata ricerca del climax, come materia conduttrice ai sensi dell’ascoltatore. Si parte dal jazz e da molti dei suoi sottoinsiemi per arrivare ad un suono real time, spontaneo e senza legami, se non quelli interiori del musicista. Negli ambienti classici circola spesso un pensiero che assiste l’ascolto di qualsiasi dimensione musicale: l’interesse deve calarsi nella prima e l’ultima parte di qualsiasi opera. Se questo è vero, allora ascoltate la perfezione degli interventi totalmente improvvisati dei primi due cds (Titan e Tarvos) e degli ultimi due (Saturn e Dione) per rendervi conto di quella affermazione.
L’altro motivo ha a che fare con qualche considerazione più profonda: come rivelato a Jason C. Bivins nel suo libro, Perelman piomba nella costituzione spirituale della sua arte allorché afferma che il jazz “...is the only art form that allows one to mimic the Creator since you are mirroring the creative forces of the universe…“; non è un caso che la titolazione accolga i dettami di una parte specifica dell’universo stesso: il contrasto tra la quantità di particelle, di materiali di Saturno e la glaciale atmosfera che ci presenta (caratteristiche riscontrate solo recentemente grazie alle sonde) è un umore quasi visibile nella musica e nei dipinti, che offrono spontanee ed enigmatiche rappresentazioni sotto lo sfondo buio dell’universo. Forse sarebbe il caso che qualcuno si accorgesse della musica di Perelman e Shipp, per mandarla in un futuro prossimo da quelle parti? Sta di fatto, comunque, che stavolta, senza leggere nessuna nota interna ai cds, ho preferito ascoltare i sette volumi in concomitanza con alcuni video che ritraggono Saturno, la navigazione attorno al pianeta e alle sue lune, disponibili su youtube*; ne ho ricavato una sensazione ulteriore, oltre che un adattamento incredibile, ossia la reale possibilità di imbastire uno spettacolo persino multimediale; assieme alla musica, i dipinti di Ivo e tutte le altre relazioni ottenibili, tale evento non guasterebbe affatto.
The art of Perelman-Shipp vol. 1-7 è perciò un aggiornamento ancora più alchemico di quanto Coltrane raggiunse nelle pieghe del suo Saturn, non solo forza, passionalità e rabbia poetica, ma coacervo di illuminazioni, che si appoggiano a plurime esternazioni di sentimenti, pensieri coltivati in estensione, umori ricercati negli abissi dell’universo. Le poche date in tour che si prevedono a maggio in Europa (Italia dove sei?) sono un’occasione imperdibile per toccare con mano quest’arte a più raggi della musica, che ormai sta diventando quasi mitologia.
Nota:
*vedi questi links: (1), (2)
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.