Questione di clic

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foto, dipinto "I Guardiani" di Enrica Bacchia, 2010, gentile concessione dell'artista

intervista a Enrica Bacchia

Qualche anno fa ascoltai per la prima volta la voce di Enrica Bacchia.
Con Massimo Zemolin e Stefano Graziani alle chitarre, presentava il suo ultimo lavoro “Chance”. Altri passaggi poi mi avvicinarono ancora a lei, alla sua musica, e l’incontro di oggi rappresenta l’inizio di un nuovo viaggio, una chance appunto.
Percorrendo la sua biografia mi colpisce la ricchezza e la poliedricità del suo cammino: diplomata all’Istituto d’Arte, poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ma anche cantante, ricercatrice, viaggiatrice, scrittrice, insegnante, pittrice; esperienze, collaborazioni e incontri internazionali; concerti in tutto il mondo, dal Brasile agli Stati Uniti, e ancora Cina, Africa, Europa, Mongolia.
Enrica è considerata tra le cantanti più espressive del Jazz europeo.
Ascoltarla significa scoprire un mondo originale attraverso il disegno imprevedibile della sua voce che per me agisce precisa come uno spillo e al contempo densa come una lava: un filo teso verso chi l’ascolta per tessere un continuo contatto.
Mi affascinano le formazioni con cui lei sceglie ultimamente di esibirsi: chitarra e voce, voce e percussioni, voce sola. Trovo in questo “poco” apparente una presenza “piena” che mi induce al silenzio: mi abbandono senza pormi troppe domande nelle storie che Enrica racconta grazie al canto.
«Mettetevi in gioco come se vi trovaste dentro una fiaba, una fiaba a cui credere, una fiaba possibile e da inventare»: questo l’invito con cui aprì l’ultimo seminario a cui partecipai, ed è con questo spirito di ascolto che oggi apro il nostro incontro.

AS: Chilometri di distanza azzerati dall’ottica di due fotocamere e i monitor dei rispettivi pc si connettono in questo mercoledì mattina di fine maggio. In una condizione virtuale, apparentemente spoglia di contatto, Enrica si racconta in modo diretto con le sue confidenze tangibili e nette. Condivide visioni, parla di voce, suono e canto.
EB: Fin da piccola giocavo a imitare le voci dei cantanti e dei personaggi di successo dell’epoca. Ascoltandone l’intonazione e il timbro, studiandone le movenze e altro ancora, potevo diventare come loro.
Da sempre sono stimolata ad esplorare, ad avvicinarmi a quel quid, a quelle frequenze che connettono gli esseri umani. Una voce che canta e riverbera può mettere in risonanza altre mille persone che si connettono e possono commuoversi.E allora inizi a girare, ad esplorare il mondo alla ricerca; ti confronti con tanti stili, con musicisti, generi diversi e nuove visioni, per scoprire che c’è chi condivide il tuo stesso desiderio di conoscere, ma applicato a campi solo apparentemente opposti a quello dell’arte. Biologia molecolare: come le vibrazioni di un suono parlato o cantato, o le forme d’onda di un colore o di una luce possano influenzare il comportamento delle cellule. Ecco il focus di questo mio momento verso cui volgo la mia ricerca. Così vado avanti e rimango in ascolto.

AS: La ricerca ti ha portato in questi anni a sentirti sempre di più Enrica? È stato un uscire per poi ritornare? Senti di aver conquistato un suono più familiare o lo hai sentito trasformarsi, ritrovandolo anche diverso dalle tue aspettative?
EB: La consapevolezza del mio percorso vocale – che va di pari passo con l’esperienza umana di vita – si traduce nel bisogno naturale di vuoto. Non ho aggiunto conoscenza, ma sto togliendo tutto ciò che non è essenziale al suono.

AS: Immagino un percorso anche fisiologico della voce: divenendo persone, crescendo, buttiamo tante cose, ci liberiamo a volte.
EB: Il canto, per come lo concepisco, si posiziona in un luogo senza tempo, avviene nel tempo ma paradossalmente non è in un tempo. È vero: quando sei giovane possiedi un’estensione vocale che con gli anni può cambiare, ma non è questo il punto. Puoi essere giovane o vecchio, ma la bellezza sta nel portare chi ti ascolta in uno spazio senza tempo. Una sorta di interplay dove tutto diventa magico.

AS: Ti è capitato spesso di trovare l’interplay con i musicisti o è stato un incontro come lo sono gli incontri importanti della vita?
EB: Per vivere l’interplay non ci si può basare solo sul sapere o sulla bravura scoppiettante o tecnicamente perfetta. La musica filtrata solo dalla mente diventa lettura e perfetta esecuzione, ma preclude l’apertura ai personaggi della fiaba.

AS: In questo senso associo la musica anche alla conoscenza delle persone: quando diventa comunicazione e opera insieme agli altri, diventa un modo per conoscere e creare società.
EB: Certo! È la connessione di cui oggi si parla riferendosi anche alle ultime teorie scientifiche, ma non voglio metterla su questo piano, il mio piano rimane quello dell’arte e della creatività. Entrare e accedere all’Universale significa togliere le barriere. A volte alcuni allievi sembrano cantare schermati da una sorta di plexiglass attraverso cui non passa proprio nulla, né emozioni né virus né altro. Il mio compito consiste nello sciogliere questa barriera (le nostre paure) per far sì che il canto sia libero e possa raggiungere i confini più ampi.

AS: Cantare senza maschere penso sia frutto di un grande cammino, un’esperienza sui propri passi per conquistare l’autenticità che ci permette di essere chi siamo.
EB: Eppure mi permetto di dirti che è la cosa più semplice del mondo, si tratta di un semplice clic (che a volte può durare una vita). È proprio la paura, l’idea che abbiamo dei nostri limiti a rendere questo passo difficile. Nelle relazioni umane siamo più o meno autentici rispetto alla persona a cui ci rivolgiamo. Se conversiamo con una persona amica possiamo essere veri quasi al cento per cento. Personalmente, quando canto – e ribadisco che si tratta del mio sentire –racconto al pubblico come se tutto il pubblico fossi io stessa: un’anima che conosco da sempre. Cantare e parlare per me non fa differenza. Parlo attraverso il suono e il testo, con la melodia, facendo vivere le pause. Cantare significa aggiungere note a ciò che racconti, dare voce e note al testo di un brano che scegli di fare, magari perché ti piace o ti tocca.È in base allo stato d’animo di quell’attimo che scegli quale storia raccontare.

AS: Confido molto in questo clic. Ho sempre intuito che possa trattarsi quasi di uno scivolone. Forse è svegliarsi, inciampare, prendere una botta e accorgersi di saper guardare alle cose anche da un’altra prospettiva: ci si accorge di avere già tutto dentro.
EB: Bravissimo, c’è già, è in tutti noi.

AS: E oggi come stai in questo particolare momento? Come guardi al futuro?
EB: Vivo questo periodo in modo curioso. Il cammino schizofrenico dell’umanità ha subìto un arresto. Oggi si parla giustamente di “ripresa”. Personalmente non posso pensare di “riprendere” la mia vita caratterizzata da un’impostazione anti umana, condizionata da un potere che non riconosco come rappresentativo dei bisogni di tutti. Non lo desidero proprio. Grazie a questo arresto planetario qualcosa è cambiato dentro di me. Il silenzio mi ha aiutata a calarmi in una visione più lucida della realtà. Anche se, come tutti, oggi non sono in grado di prevedere il futuro (mi fanno sorridere gli scenari proposti ad arte dal mainstream dell’informazione) so che posso iniziare a costruire il mio sogno, ripartendo per reinventare tutta la vita. So di essere nata per cantare anche se ad oggi non ho ancora la possibilità di riprendere a farlo. Allo stesso tempo immagino un futuro in cui troveremo la chiave per collaborare al benessere dell’intero pianeta. Ha poca importanza sapere quando tutto ciò si realizzerà. Sono i miei primissimi passi di un’era che desidero vivere da protagonista.

AS: Posso dire che questo periodo, questa occasione, abbia rafforzato il tuo desiderio di essere ancor di più te stessa, di proseguire ancora in questo percorso?
EB: Tu parli di essere “ancor di più me stessa”: ti confesso che non ho mai sentito differenza tra ieri e oggi. Per me non funziona così: non esiste una scala che sale dal meno al più. Durante la vita siamo sempre noi stessi, con consapevolezze, età, traguardi diversi su piani diversi, mai migliori o peggiori.
Hai notato i bellissimi cartelli, spesso realizzati dalla mano dei bambini, che decorano in questo periodo i balconi, i recinti o le strade, con il pensiero scritto “Andrà tutto bene”?Ottime intenzioni di cuori e anime fiduciose, che accendono speranze, ma il verbo andare coniugato al futuro, andrà, è errato. “Va tutto bene!”. La crisi è l’opportunità di metterci in gioco.Con i sacrosanti dubbi e le innegabili paure. Che cosa faremo? Non c’è limite a ciò che possiamo fare.
L’occhio creativo in questa pausa di portata storica si è allenato a cogliere le sfumature, a intuire, ad accorgersi di come ad esempio i semi germogliati in questi mesi non abbiano prodotto gli stessi fiori di sempre. I gesti quotidiani e i rapporti con il prossimo hanno acquistato una valenza particolare, non spiegabile a parole, che fa parte di quel famoso interplay di cui si accennava prima: essere tutt’uno con. Puoi essere in interplay con l’aspirapolvere, con il musicista, con il vicino, con colui che immaginiamo essere nostro nemico, con un sasso, con un seme…

AS: Libertà d’essere, questo pensiero mi nasce ora, ascoltandoti. Hai parlato di sogno, di possibilità, di guardare al futuro. In questo periodo si è discusso molto di libertà. Dentro di me non l’ho sentita né scalfita né minata, ho sentito di avere la possibilità di pensare, di scegliere.
EB: Le persone hanno infinite sfaccettature. C’è chi adora il sole chi ama la frescura dell’ombra, chi ha bisogno del silenzio e della quiete e chi del contatto costante con il gruppo, con la chiacchiera e la bellezza della compagnia. Proprio questi ultimi hanno probabilmente sentito il peso della quarantena forzata,vivendola come un vero e proprio attacco alla libertà personale. Io da sempre ho un buon rapporto con il silenzio e questa pausa dalla frenesia ha avuto per me il potere di un balsamo.
La libertà è quella interiore. Puoi essere incatenato ma essere libero qui – n.d.r. indica il cuore.

AS: Mi è apparsa l’immagine dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, questo disegno perfettamente inscritto all’interno di un cerchio. Il cerchio si è improvvisamente ristretto focalizzandosi al centro del plesso solare di quell’uomo. Una visione nata ascoltandoti e convenendo con te che questo periodo sia una sorta di trampolino di lancio che ci proietta verso un nuovo umanesimo, ognuno con le proprie responsabilità. Un piccolo nucleo che può espandersi all’infinito se l’umanità intera costruisce Unione.
EB: Due considerazioni in un pensiero.
Il piccolo centro di cui parli è presente, sotto diversi nomi,nella tradizione antica e moderna di tutte le culture non brutalizzate dalla globalizzazione selvaggia.Lì c’è tutto, la nostra forza, le nostre potenzialità, le memorie. È uno stare senza spazio, senza tempo, senza maestri, in cui puoi scegliere di essere tutto. Non sempre è facile aderirvi perché la mente ti ricorda che hai un corpo (e in questo non c’è nulla di sbagliato), ma un semplice clic può ricondurti lì, in quel puntolino dalle dimensioni infinite. È uno spostamento di ottica: osservo la realtà da un diverso punto di vista.
Frequentavo le scuole medie quando il mio buon vecchio professore di Educazione Artistica– materia che allora si chiamava Disegno – mi ha avvicinato alle visioni, e con mio grande stupore ci invitava a disegnare alberi blu e scarabocchi informi di colori che diventavano persone. Ha aperto la mia mente alle infinite possibilità che abbiamo di creare.
Immaginare il mondo come sarà fra un tot di anni… la mia visione è solo parte di ciò che trasmette l’informazione anestetizzante e contraddittoria di cui siamo circondati, che incita ad un prossimo futuro ancor più tecnologico e competitivo. La competizione auspicata implica sempre un vinto e un vincitore. Io non voglio essere né l’uno né l’altro. So che dovrò cambiare dentro di me con occhio vigile, chiaro e rilassato sulle scelte di ogni istante della giornata.

AS: Poiché umani, rimanere costantemente vigili e centrati credo non sia semplice. Abbiamo delle cadute, degli spostamenti.
EB: Non pensare sia questione di scivolo o cado, perché se pensi che da questo luogo si possa scivolare via entri automaticamente nel senso di colpa:«cazzo sono uscito dal mio centro,sono sceso giù». È umano spostarsi, è umano scegliere ottiche diverse, ma se accetti questo come parte del gioco,tutto diventerà più avvincente.

AS: Fa tutto parte del gioco…
EB: In un’intervista di qualche giorno fa ho sentito una persona affermare che tutto è bellezza. È un sentire che non riesco ancora ad abbracciare fino in fondo, ma sotto sotto quest’affermazione sta girando dentro me. E io lascio che entri. Chissà, magari capirò.

AS: Forse qualsiasi cosa che abbia attinenza con la vita ha un significato e della vita fa parte anche la sua negazione.
EB: Viviamo in un mondo duale, dove esiste il più e il meno. Molti affermano che tutto sia espressione del Divino. Quindi non esiste lo scivolone, non c’è mai scivolone: è espressione, sono volti, sono immagini. Sono Immagini.

AS: Siamo abituati a guardare le cose in verticale, a cercare l’alto e il basso: se guardassimo all’orizzonte, ti si aprirebbe un altro piano davanti.
EB: E se non la mettessimo neanche così? Se non ci fosse questo alto e questo basso, se le dimensioni fossero davvero infinite, senza dover immaginare alcun piano? Anche questo sarebbe magnifico.

AS: Enrica, ascoltandoti mi viene da porti questa domanda: la paura per te. Immagino anche tu nella tua vita abbia affrontato le paure, ma mi arriva come pensiero che tu abbia grande padronanza di loro.
EB: Per mia natura mi aiuto spesso con lo humor e credo già questo tolga peso alla paura. So di essere una persona abbastanza forte nel senso che faccio, vado,etc. ma non sono un supereroe (né miro ad esserlo). Guardo alla paura come una parte del tutto. Se mi sposto di fiaba, vedo che la paura è semplicemente ciò che mi serve per capire qualcos’altro. Se neghi la paura avrai paura della paura stessa, entri in un circolo vizioso.
C’è una frase che porto sempre con me: “trasformo la mia paura in coraggio”. Funziona!
Se non fosse accaduto ciò che è accaduto in questo periodo, pensa a quale vita ancora sotto sforzi, senza guardarsi, porsi domande, soffermarsi sulla condizione della nostra Terra, senza rendersi conto di cosa voglia dire umanità. Questa paura può servire da stimolo per trovare soluzioni nuove. Ci sono tantissime persone e correnti di pensiero che stanno già immaginando un mondo diverso. La paura esiste ma può essere usata a nostro servizio.
Va coccolata, vista, compresa.

AS: Riconosciuta anche, amata forse.
EB: Amata… chissà, forse hai colto il punto: ha bisogno d’amore.
Interessante questo, bello, mi hai dato una chiave! Anche se ti confesso che ad oggi non ho ancora compreso cosa significhi la parola amore.

AS: Ne stiamo parlando ancora, oggi, eppure quante volte è stata nominata! Un po’ come il concetto di Dio, grandezza, vastità.
EB: Dio, in qualunque modo lo si chiami, posso sentirlo perché siamo una piccola sua parte che esprimiamo con la nostra esperienza terrena. Il concetto di amore – contrapposto a quello di peccato e senso di colpa – con cui sono cresciuta è più difficile da afferrare. Ma capirò…

AS: Ti senti quindi più in confidenza con Dio che con l’amore.
EB: È strano, ma forse sì. Dicono che siano la stessa cosa, ma che significa veramente “Dio è Amore”? Non mi basta una risposta mentale, mi manca quel qualcosa che mi tocchi, che mi apra, mi illumini.

AS: Forse, come affermi tu, è sempre una questione di clic.
EB: Forse.

AS: Prima hai parlato di trasformare la paura:senti la parola “trasformatrice” a te affine?
EB: Se avverto che il vento diventa bonaccia, in linea di massima sono disposta a cambiare direzione con entusiasmo.Alcuni affermano che questo comportamento non sia corretto, ma ho smesso da un pezzo di affidarmi ai maestri.
Molti i gesti simbolici della mia vita: dal bruciare in un grande falò tutte le mie opere dell’Accademia di Belle Arti per ricominciare, al lasciare il posto sicuro dell’insegnamento per dedicarmi solo alla musica, dal partire in solitaria nella mia prima nave da crociera greca, fino ad assumermi la responsabilità di gettare nella spazzatura tutti i farmaci che pochi giorni prima mi avevano salvato, per vivere una vita normale, non narcotizzata. Spesso mi sposto per sperimentare; chi è aperto alla sperimentazione è facilitato in un periodo come quello che stiamo vivendo.

AS: Il tasto dell’interplay è insomma sempre acceso.
EB: Sì, anche se ti confesso che proprio in questi giorni il dialogo con le persone non è semplice, anche con quelle che ritenevo più aperte. Ho trovato muri, paure, paletti a segnare i confini miei, tuoi, suoi,chiusure… Però si va avanti.

AS: Anche perché fa tutto parte del gioco e una possibile sfida è accettare che ognuno di noi può essere goccia. Siamo in divenire e l’interazione sta nell’interplay con le altre gocce.
L’interplay si attiva se anche l’altro permette una risonanza con te, altrimenti il contatto può essere debole o non esserci affatto.

AS: Prima hai detto che quando canti ti poni in un tempo senza tempo. Rifletto sul tuo essere artista, pittrice, e ti immagino nell’atto del cantare come se tu stessi di fronte ad un quadro aperto.Se penso a qualcosa senza tempo, mi viene in mente un quadro o comunque l’arte figurativa: la musica vive nel presente, è live, invece la pittura, la scultura, l’architettura sono forme che per me entrano in un per sempre. Ti ho immaginata nel canto come se con la voce ti prodigassi a realizzare un quadro.
EB: Sin dagli anni Ottanta i titoli dei miei seminari che proponevo erano: “Giocare con la voce, Dipingere con la voce”, “Musica Percettiva”. Credo davvero che si possa dipingere con il suono.
L’arte figurativa, per come la vedo io, rappresenta qualcosa che sta nel tempo, segna fasi storiche, le opere d’arte sono databili. Anche un cd ha una data, ma riferendomi ai miei concerti live, ho la sensazione di accedere al non tempo in un modo molto automatico con la consapevolezza che le forme d’onda che crei informano passato presente e futuro. Intendiamoci, non sono un guru, non mi connetto con nulla, non mi preparo, non medito, non seguo rituali… Ma è così bello quando sono sul palco, canto e tutto accade.
Mi piace il Jazz perché grazie all’improvvisazione posso trasformare ogni volta quello che è il senso del brano. Non sai mai prima cosa farai, lo fai nell’istante stesso, quindi è una novità che viene proprio da un moto dell’anima. Esporre il tema di uno standard o cantare Musica Percettiva ha sempre un sapore diverso dato dal tempo umano.

AS: Nella nostra carta di identità sono scritti il nostro nome e cognome, l’altezza, varie informazioni e poi c’è una casella riservata alla voce “Professione”. Rispondere a questa domanda mi fa sempre sentire costretto in un’etichetta.
Se potessi creare adesso la tua carta d’identità, come la vorresti tra le tue mani?
EB: Io non sono una cantante, io faccio la cantante. Come affermi tu, io sono. Faccio la cantante, insegno, scrivo, cammino, guido, corro, amo, stiro e faccio, ma io sono.
I dati sono richiesti per incasellare e controllare l’umanità. Siamo ancora troppo giovani per accettare autodichiarazioni su chi siamo veramente.

AS: Battisti canta “come può uno scoglio arginare il mare”. Forse l’uomo ha quest’ansia di voler prendere l’infinito per decifrarlo, chiuderlo. Forse anche per un’esigenza di ordine, di semplificazione.
EB: Forse per il bisogno del controllo. Più ordini, più tieni tutto sotto controllo.

AS: E l’artista va un po’ fuori controllo.
EB: Certo,ci si può permettere di uscire dagli schemi senza per questo negarli. Tutte le grandi scoperte sono frutto della ricerca nel fuori controllo. Se non ci permettessimo di creare visioni nuove al servizio dell’umanità intera saremmo bloccati nell’evoluzione.
È una scelta continua:vogliamo il bosco vivo o desertificato dal cemento?
La collaborazione deve nascere dal basso per cercare soluzioni creative per il territorio e per uno sviluppo armonico degli esseri umani.

AS: Conversare con te, Enrica, mi dà la sensazione che la parola “cantante” possa essere tridimensionale, farsi pallina che cresce.
EB: Certo. Può farsi un mondo, diventare una stella, un pianeta, una fiaba.

                                                                    ***

Enrica Bacchia è una ricercatrice aperta alle possibilità e alle potenzialità del suono.
Studia e sperimenta l’utilizzo della voce in percorsi di crescita personale e interpersonale, nel miglioramento della qualità della vita soprattutto in ambito creativo legato all’Arte.
Il suo cammino è costellato di viaggi, collaborazioni, tournée internazionali, libri di cui è autrice, un’ampia e ricca discografia e docenze di materie artistiche e canto.
Data la ricchezza e la singolarità del percorso musicale di Enrica, voglio porre ora l’accento sui seguenti progetti:
nel 2007 realizza il progetto MUSICA PERCETTIVA© con Yannik Da Re, un progetto musicale all’avanguardia che si spinge oltre i concetti di canto, voce e suono come comunemente siamo soliti intenderli: da questo incontro nascerà nel 2014 il disco “Abraq Ad Habra” pubblicato da ArteSuono;
è Vocalist Performer del progetto ÌNIN Con-SCIENZE THEATRE of BEING e membro del comitato artistico di ÌNIN PROJECT di Lugano, progetto fondato dalla sorella Anna.
Vi invito all’ascolto, alla conoscenza e all’incontro con il suo mondo.

Indico alcuni link e riferimenti dai quali poter iniziare.
https://www.youtube.com/watch?v=WkVZlxkBN7o&t=2s
https://youtu.be/3rWVPT7JQYA
https://youtu.be/RhWHYqMwykQ
https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_kPptc89rB6t8i3QyNXtEIC_-ooinqmbps
https://www.youtube.com/channel/UCZN0Sp8wbxJ2o6fHyifBeJA
https://www.annabacchia.net/
https://www.enricabacchia.it/

                                                                            Mestre, 27 maggio 2020

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Dopo la laurea in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, affronta gli studi musicali diplomandosi nel 2013 in canto moderno con 110 lode e dignità di stampa/ 110 presso il Conservatorio G. F. Ghedini di Cuneo. Consegue nel 2018 il diploma in Gestalt Counseling presso la Scuola Superiore Europea di Counseling Professionale ASPIC - sede di Venezia. Svolge attività professionale come counselor, cantante e organizzatore di eventi culturali.