La canzone d’autore italiana

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Dalida e Luigi Tenco a Sanremo nel 1967 - Public domain
L’Italia musicale ha probabilmente vissuto il suo splendore nell’epoca barocca, quando i vari Vivaldi, Albinoni, etc. a Venezia (dopo l’epopea rinascimentale di Monteverdi), gli Scarlatti e Pergolesi a Napoli, Corelli a Roma e tutti i musicisti toscano-bolognesi (Manfredini, Locatelli, etc.) rappresentavano il centro dell’universo musicale. Quel primato venne meno pian piano, di fronte alla nuova classicità viennese (che comunque produsse anche artisti italiani di rango, si pensi a Salieri, Clementi, etc.) e al romanticismo europeo (anche qui con poche eccezzioni di rilievo, Verdi, Donizetti, etc.). In quest’ultima fase, dilagante è l’apporto dell’opera che in Italia conosce un successo ed un apprezzamento anche all’estero senza eguali. Ho già avuto modo di esprimere il mio giudizio su questi avvenimenti in miei post precedenti (a cui vi rimando); quello che mi preme sottolineare è che è in questo momento che nasce la famosa “melodia” italiana. Tutto il Novecento vedrà il nostro Paese andare su due binari nettamente diversi: le avanguardie di Berio, Scelsi, Nono da una parte, che non incontravano nessun favore del pubblico, e la composizione melodica dall’altra, frutto di una continua rielaborazione delle tematiche operistiche. Entrando nello specifico della musica leggera due sono stati i maggiori moderni movimenti di una certa valenza artistica in Italia: il “progressive” rock degli anni settanta (che proietta il melodismo italiano in un contesto rock) e la canzone d’autore (alla Dylan o alla Leonard Cohen). Se entrambi nascono per effetto degli analoghi movimenti inglesi ed americani, questi movimenti riusciranno ad imporsi con gruppi ed artisti che in maniera originale daranno il loro contributo con alcuni albums importanti. Nello specifico la canzone d’autore italiana prenderà ufficialmente il via alla fine degli sessanta con alcune scuole “regionali” che si imporanno all’attenzione; se il Domenico Modugno di “Vecchio frak” propone già una propria embrionale canzone d’autore, descrivendo fatti di cronaca sociale, è probabilmente grazie ad autori “tristi” come Luigi Tenco e Sergio Endrigo che nasce la migliore tradizione italiana nel cantautorato, quella che estrinseca sentimenti e difficoltà con un linguaggio appropriato: le influenze non provengono solo dall’italianità degli episodi melodici, ma c’è anche un implicito richiamo alle evoluzioni dei cantanti francesi, cosiddetti “chansonniers”: in un raccordo tra elementi europei ed americani, nascono dei veri e propri poli geografici con sfumature diverse: la scuola genovese di Tenco che viene continuata da Fabrizio De Andrè (che è una reincarnazione “vaticana” del Leonard Cohen statunitense), quella bolognese di Lucio Dalla (celebre per il suo fischio “ironico” e il piglio intellettuale) e Francesco Guccini (ricordato per le sue tematiche contro la guerra); quella torinese, divisa tra canzone francese e swing, di Paolo Conte; quella più avanguardistica, milanese, di Franco Battiato, che mette assieme elementi di classica (voci operistiche, slanci barocchi e tradizioni siciliane) con gli insegnamenti dell’elettronica di Stockhausen, e quella dissacratoria di Enzo Jannacci e Giorgio Gaber; quella romana di Francesco De Gregori (che unisce il Dylan più gentile con i fattacci politici italiani), e quella tutta impeto sociale e Colosseo di Antonello Venditti. Qui si costruiscono nuovi rapporti ed approfondimenti della imperante melodia italiana cercando di relegare a pochi accenti stilistici l’influenza dei mostri sacri musicali oltreconfine; soprattutto quello che si crea è un crescente interesse di una certa parte del pubblico di ascoltatori (italiano) non amante delle convenzioni (soprattutto quelle sanremesi) che ne santificherà (anche con le vendite) l’operato. A metà dei settanta l’opera cantautorale sarà completata dalla nascita della scuola napoletana grazie ad artisti come Pino Daniele (che fonde la tradizione napoletana con il blues, diventando l’alfiere del genere partenopeo) e quella meridionale in genere con le proposte della Nuova Compagnia di Canto Popolare, in cui militano Eugenio Bennato, Carlo D’Angiò e Teresa De Sio, artisti, che dopo un iniziale periodo dedito alla tradizionale folkloristica dei luoghi rappresentati, cominceranno a fondere quegli elementi popolari con una rinnovata visuale cantautorale, basata su aspetti etnici. Su questo versante, peraltro, si mosse anche Fabrizio De Andrè, con il suo tributo alla lingua ligure che in realtà covava l’interesse storico-culturale di una delle principali lingue del medioevo e Franco Battiato che nel discutibile “Caffè de la paix” mostrava dei fortissimi richiami alle tradizioni arabe ed indiane; tutte queste soluzioni potenzialmente aprivano nuove strade per la canzone d’autore, mischiando folklore popolare ed aspetti filosofici della canzone d’arte, soluzioni che però ad oggi sembrano essersi sterilizzate in quegli episodi.
Negli Ottanta nascerà anche un’Italia del rock più immerso nelle prerogative punk di quegli anni e più tardi del cosidetto post-rock diventandone uno dei suoi maggiori poli distributivi, mentre la canzone d’autore perde gradatamente il suo peso anche a causa dell’inevitabile appagamento artistico di coloro che l’avevano posta in essere. Il mestiere di cantautore sembra essere stato dimenticato tant’è vero che i nuovi e più interessanti cantautori si devono contare sulla dita delle mani (Massimo Bubola, Vinicio Capossela, Cristina Donà, Carmen Consoli) provocando anche la preoccupazione dei discografici italiani. I nuovi gruppi che spesso cercano di convogliare nella loro proposta musicale elementi della canzone d’autore italiano sembrano più incisivi dei cantautori stessi, ma in un contesto internazionale restano trascurabili. Roberto Vecchioni in una sua recente intervista ha ammesso apertamente che il mondo della canzone d’autore è in affanno, ma la realtà è forse più grande dei rimedi proposti, poichè non è andando verso il popolo che si risolvono i problemi: quello che veniva fatto ieri, era inserito in un’epoca in cui i “valori” contavano in maniera paritetica alla musica, ed erano i fattori che “indirettamente” influenzavano le musicalità. Se è vero che si partorivano figli di una musicalità non strettamente italiana, era anche vero che con alcune peculiarità artistiche i nostri cantautori vuotavano la loro ideologia fatta di quegli aspetti che avevano un contenuto che arrivava comunque al popolo e non c’era bisogno di artifici, si era sè stessi e questo contava. In Italia soprattutto c’è un malcostume che consiste nel fatto che spesso dopo una carriera folgorante, breve ed appagante dal punto di vista economico, il fatto artistico diventi un ricordo e salga l’impegno per iniziative collaterali che spesso con l’arte musicale non hanno niente da spartire: se quindi si può criticare la costanza, la continuità dei nostri artisti, (tenendo presente comunque che le carriere artistiche hanno di solito dei picchi temporali in cui più elevata è la proposta musicale), dall’altro sembra evidente che il modello dei cantautori francesi ed americano a cui noi ci siamo ispirati probabilmente è entrato in crisi tanto quanto quello nostrano. Perciò forse la soluzione migliore sarebbe solo quella di entrare in sala di registrazione ispirati e continuare a fornire dischi di spessore pedissequamente. Questa forse sarebbe la vera via d’uscita ed un buon esempio per le generazioni di giovanissimi che sembrano aver perso la voglia di impegnarsi nell’arte dello scrivere intellettuale o sociale.
Alcuni dischi fondamentali della canzone d’autore italiana:
-Luigi Tenco: Tenco, RCA 1966
-Fabrizio De Andrè, Volume I, Bluebell 1967
-Francesco De Gregori, Rimmel RCA 1975
-Lucio Dalla: Com’è profondo il mare, RCA 1977
-Pino Daniele, Terra Mia, EMI 1977
-Antonello Venditti, Sotto il segno dei pesci, Philips 1978
-Franco Battiato, La voce del padrone, EMI 1981
-Fabrizio De’ Andre, Crueza de ma, Ricordi 1984
-Paolo Conte, Concerti, CGD 1985
-Ivano Fossati, Discanto, Epic 1990
-Vinicio Capossela, Canzoni a Manovella, CGD 2000
-Eugenio Bennato: Che il Mediterraneo sia, Rai Trade 2002
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.