Ivo Perelman: Parte III, free jazz e transizione contemporanea

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Nel 1996 assistiamo a ben 13 uscite discografiche, un record direi; Perelman sta maturando il suo cambiamento. Il livello di attenzione comincia a spostarsi in direzione di una evidente compressione della melodia e di un incremento del senso lirico delle composizioni; in quell’anno incide due “cavalcate” jazzistiche, quella di “Cama de Terra” (in trio con Matthew Shipp e William Parker) e il “Live” (sempre con Parker e Rashied Ali), operazioni con grande schieramento di forza detonante, ma che forse sono rese in un linguaggio senza respiro che ne mortifica l’espressività. Si può affermare comunque che è “Sad Life” la chiave di svolta del suo cambiamento e il suo imprescindibile legame iniziato con la britannica Leo Records fissa il suo nuovo standard; le tematiche che affrontano il Brasile e la sua cultura cominceranno in un primo momento ad essere diluite nella composizione (in questo senso “Sad Life” è nettamente album di transizione) e poi con il tempo a scomparire a favore del linguaggio dissonante. L’effetto di contrapposizione tra free jazz e valenza contemporanea avviene con lavori nei quali le formazioni di solito in trio o in quartetto e gli archi (soprattutto contrabbasso, violoncello e in misura minore il violino) acquistano un valore fondamentale. Tra le 13 pubblicazioni si sottolineano anche le empatie in duo di “Geometry” con il pianista free Borah Bergman, un edulcorata versione di Cecil Taylor, che asseconda ancora qualche istinto verso il Brasile, e il duo con il chitarrista Joe Morris “String“, in cui Ivo abbandona il sax per suonare il violoncello (con una personalissima impugnatura) e scatenare l’irregolarità della voce. Tuttavia il primo piano va fatto specificatamente ad alcuni lavori che individuano i nuovi capolavori dell’artista: “Seeds, visions and counterpoint” in trio con Duval e Rosen, è uno spasmodico flusso improvvisativo, che mette in ben evidenza l’arte musicale di Perelman che quasi senza sosta al sax strepita, si dibatte, soffre ma comunica come l’urlo di Munch, creando di fatto delle vere e proprie visioni catartiche che si nutrono del dialogo “contemporaneo” di Duval e Rosen che contribuiscono in maniera creativa ad un climax ideale dell’operazione (decisamente più ispirati rispetto alle registrazioni Cimp R). “Seeds, visions and counterpoint” affascina per la dimensione dei suoni, per il risultato raggiunto, per il suo parossismo e il suo potenziale liberatorio lontano dalle aridità del free jazz contemporaneo (vedi la lunga title-track che è uno dei vertici in assoluto del brasiliano) e Perelman in alcuni momenti sembra un alieno dello strumento, una voce in preda delle sue emozioni; campione delle tecniche non convenzionali del sax, Ivo tira fuori spesso dallo strumento una sonorità particolare, simile ad un canto di uccello. Altro che “Cantilena”!

I due lavori per la Music and Arts (etichetta americana di musica classica e world music) realizzati in quartetto con la pianista Crispell, William Parker e Gerry Hemingway gli calzano a pennello e confermano che Perelman non è più solo l’improvvisatore jazzistico che tutti conoscono ma è proiettato verso un progetto più ampio che abbraccia anche l’avanguardia. “Sound Hierarchy”  acquisisce quell’equilibrio tra lo stile americano (basato sulla libertà dei suoni) e quello europeo (più radicale e costruito più sulle attitudini tecniche), mentre “El Adir” tenta di distillare nel free la canzone ebraica. Più in linea i due cds usciti per la Cimp R. “Slaves of Job” e “Revelation”, dove Ivo cerca di trovare nuovi appigli creativi in motivi popolari o convenzionali.

Nel ’98 Ivo cerca di bissare l’esperimento di “Seeds, visions and counterpoint” con una più consistente orchestra di archi: oltre a Dominic Duval (che diventerà uno dei suoi più fedeli alleati progettuali) c’è l’inserimento del violoncellista Thomas Ulrich, della viola di Ron Lawrence e del violino di Jason Hwang; il C.T. String quartet (dove C.T. sta per Cecil Taylor) imbastisce una suite in otto parti, la “Alexander Suite“, un lavoro dedicato a Matthias Alexander, l’uomo dei preziosi consigli che lo aiutò a tirarsi fuori da una tendinite che lo tenne fermo per mesi. Con una maturità impressionante questo è il lavoro di frontiera che Ayler forse avrebbe fatto se fosse stato in vita: sono otto stati d’animo suonati con la solita energia, coerentemente legati da un substrato di suoni “moderni”. Notevolissimo è anche il successivo “Sieiro” in cui Perelman suona anche un tenor trombivo (un trombone suonato con il bocchino del sax), che ha dalla sua parte un continuo cambiamento degli stati d’animo che passano da respiri melodici a fasi di attesa, con afflati cameratistici ed esplosioni violente del sax: si è ormai perfezionato nella sua mente l’indissolubile legame tra gli stadi della musica e della pittura.

a breve la quarta parte……

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.