Piani mimetici ed archi stilizzati

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Da più parti le considerazioni circa lo stato di salute delle produzioni tedesche dell’etichetta Ecm spiazzano totalmente per la loro idiosincrasia: quello che viene contestato oggi, in maniera piuttosto provocatoria, è l’assorbimento delle varie proposte artistiche in un suono tipico, risaputo, che non ha più molto da dire. Quello della costruzione di uno stile e del mantenimento di un tipico sound immediatamente riconoscibile è invero problema sterile, soprattutto se visto in rapporto a quanto è successo nella musica per casi analoghi; estremizzando le nostre riflessioni, dovremmo rifiutare il concetto di autenticità per molti attuali artisti dell’etichetta che si sono affacciati sulla ribalta mondiale da non più di dieci anni, e magari dovremmo porre su un altro livello solo quello che dall’improvvisazione ne gusta lo spirito senza preoccuparsi di dargli un vestito: arte nuda, diretta ma senza estetica. Potrebbe essere un paradosso, ma non c’è dubbio che, ad esempio, anche nell’attuale excursus della free improvisation si è raggiunto un punto di arrivo ineludibile, che pretenderebbe di guardare (seppur con insoddisfazione) alla storia della musica degli ultimi cinquant’anni.
La verità non sta in quelle opinioni: è necessaria una valutazione caso per caso delle proposte musicali, dello spessore artistico dei musicisti, nonchè trovare con molto acume le dovute differenze con quello che la “media” storica delle proposte ha offerto nel tempo; è con queste basi che si può esprimere un giudizio sull’operato di un produttore e della sua compagnia, e scoprire che la realtà porta ancora caratteri nuovi ed espressivi, che evitano di guardare con troppa enfasi sul futuro della musica e si dimenticano del presente. In casa Ecm le eccezioni ci sono e hanno tutta la loro dignità. Particolarmente efficaci per le nostre considerazioni sembrano le recenti proposte dei pianisti Colin Vallon e Vijay Yver.
Il pianista svizzero, da sempre fautore del trio impostato alla Bill Evans maniera, giunge con il suo nuovo lavoro “Le vent” (un titolo agevolmente calato in un impressionismo musicale moderno) ad una perfezione delle forme espressive gradualmente incrementata con la maturità musicale. Assolutamente contrario al virtuosismo (come altri pianisti in casa Eicher), “Le vent” si nutre di una sorta di struttura cadenzata (che si rifà solo parzialmente alle cadenze di Mehldau) dove Vallon, addomesticando geometricamente gli stimoli che dal cervello arrivano alle mani, crea una rete di suoni uguali ma di variabile intensità che luccicano in chiaroscuro. Si produce uno splendido effetto nostalgico frutto della reimpostazione di Satie e Jarrett, che è molto diverso dall’essere una copia carbone, in cui la tensione emotiva è raggiunta con l’indispensabile apporto spettrale del contrabbasso di Patrice Moret e con le creazioni percussive a la Motian di Julian Sartorius (che sostituisce Rohrer).
Quella specie di phasing autoctono accomuna la prova del trio di Vallon con quella di Vijay Iyer di “Mutations”, suo primo lavoro per l’Ecm: qui la capacità di mimesi viene raggiunta attraverso la figura del quartetto d’archi. In questa commissione ricevuta nel 2005, Iyer dimostrava la vena sperimentale del jazzista, alla ricerca costante di nuove soluzioni e di nuovi obiettivi musicali aggrappati ad un’idea di ricostruzione lanciata nel versante “contemporaneo” della musica. Il piano si intromette con note jazz improvvisate, spesso atonali, che si inseriscono nel telaio del quartetto come qualcosa di ameno, un coraggioso tentativo di mettere assieme (nello scontro tra un ludico pianismo jazz e le sincopi dei quartetti di Glass e Carter) due sensibilità di approccio diverse: avvalendosi anche di leggeri effetti di elettronica apparentemente insulsi, la suite di “Mutations“, seppur improntata alla descrizione di stati di progressivo cambiamento, forse in alcuni momenti dà più l’idea della contrapposizione che della mutazione (Automata mi sembra il brano che più si avvicina sensitivamente a quest’ultimo concetto), ma mantiene sempre un fascino discreto nella sua costruzione sonora, che unisce la preparazione completa e trasversale del pianista con suoni vicini in spirito alla produzioni tipiche dell’Ecm, ma lontanissime da quest’ultime nell’assemblaggio tecnico dei materiali. “Mutations” più che un lavoro musicale di improvvisazione jazz, è un progetto stilizzato, da allineare a quella voglia dell’artista di trovare punti di contatto tra discipline musicali che per troppo tempo sono state considerate alternative od incompatibili.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.