Ursula Mamlok: String quartet No.1/Polyphony I/Confluences and others

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Naxos will publish the first monographic cd of Ursula Mamlok in the American Classics’ series, that focuses on a beautiful concert at Kammermusicsalle Berlin in February 2013, in which almost all of the best Mamlok’s compositions were taken.
There is a common characteristic in all the composition, a recognized style: the balance between rhythms and intensity of sound, a rhythmic vivacity of serial writing which intersects with some doubtful musical lines, deep tonal evocations that remind us indelible marks or traces of post-war writing, textures with a variable intensity that we perceive with the aid of the Spectrum Concerts Berlin’s musicians and Armida Quartet.
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Sembra proprio inevitabile pensar bene dei compositori che hanno vissuto l’onda modernista del novecento; alcuni poi sono stati segnati nella loro attività dall’incalzare della seconda guerra che ha costituito motivo di emigrazione professionale: alcuni rifugiati statunitensi sono poi tornati sul luogo di nascita o formazione solo dopo molto tempo: è il caso di Ursula Mamlok, che alla veneranda età di 91 anni, sta finalmente avendo un’attenzione adeguata alla sua figura attraverso riscoperte discografiche estese come quelle ad esempio della Bridge R.. Come Stefan Wolpe (suo mentore) la Mamlok ha dovuto fuggire dalle disgrazie del nazismo negli Stati Uniti, diventando una delle compositrici lanciate nella leggenda dei cambi di nazionalità e affiliata ai modernisti americani, un gruppo di compositori senza nessuna relazione formale tra essi, che dopo la seconda guerra annoverava Carter, Feldman, Shapey, Wuorinen, Tudor, etc.: una delle caratteristiche di tale aggregazione era la spinta verso le teorie dell’atonalità della seconda scuola viennese, sebbene ognuno di loro avesse una particolare accondiscendenza ai principi di Schoenberg o Webern: nel caso della Mamlok l’adesione alla tecnica dodecafonica e al serialismo costituiva un passaggio obbligato per presentare le proprie variazioni di “colore”: uno stile dolcemente espressionista che molti hanno spesso catalogato come neoclassicismo, un neoclassicismo “modificato” nelle prerogative dodecafoniche, l’Hindemith classicista con addosso gli abiti di Schoenberg.
La Naxos pubblica questo centrato compendio che riporta un concerto al Kammermusicsalle di Berlino nel febbraio del 2013, in cui vengono riprese quasi tutte le migliori composizioni della Mamlok, evitando la parte orchestrale e concentrandosi su quella da camera: si va dallo String quartet n. 1 (1962) al clarinetto solo di Polyphony I (1968) alla musica per viola di From my garden (1983) a Rhapsody (1989) per clarinetto, viola e piano, fino ad arrivare alle più recenti 2000 Notes (2000) e Confluences (2001): in tutte si nota una caratteristica comune dello stile della compositrice, ossia l’equilibrio tra ritmi ed intensità sonore, una vivacità ritmica della scrittura seriale che si incrocia con delle linee che dubitano, evocazioni tonali che nel profondo riportano a tracce o a segni indelebili di scrittura post-guerra, tessuti che comunque godono di un’intensità variabile che si gusta grazie ai musicisti dello Spectrum Concerts Berlin e gli Armida Quartet. Bisogna ammettere che questa musica ha ancora molto fascino. Il solo rammarico è quello della mancanza di un paio di composizioni fondamentali della Mamlok, ossia i Five intermezzi per chitarra, e il piano trio di Panta Rhei, uno dei maggiori esempi di innovazione metrica dell’americana. Avrei preferito evitare l’intervista di Frank Dodge di oltre sette minuti ed inserire le due composizioni. Sarebbe stato un best perfetto.