Una sfida che viene da alcuni personaggi musicali del mondo nordico è quella di derogare ad uno dei principi basilari delle arti, ossia quel pensiero critico che vede l’artista avere una o al massimo due buone idee creative nel corso della sua carriera. In questa deroga il pianista Christian Wallumrod reclama piena appartenenza: in casa Hubro, quest’anno Wallumrod ha registrato tre cds differentemente progettati che hanno poco da spartire anche con il lavoro svolto dal pianista fino adesso (per un profilo sull’artista vedi qui un mio vecchio articolo), ma che impongono la riflessione poco scontata sull’intelligenza del musicista e del suo sapersi aggiornare costantemente anche nei dintorni accademici della musica. Il primo dei tre lavori, più toccante nell’elaborazione dell’idea, è “Pianokammer“, la prima prestazione in solo piano che accoglie un concetto tanto semplice quanto efficace: restituire alla musica il suo fascino, la sua godibilità e darle un profondo scossone sotto il profilo della coscienza e dei mezzi musicali (moderni) utili per riconoscerla: non solo tecniche ma anche vibrazioni ecologiche dell’ambiente e del corpo. Wallumrod ha raccolto dati sonori provenienti da personali ricerche fatte sulle risonanze dei pianoforti studiate in diversi contesti stradali e le ha poi sistemate in fase produttiva. Ne è derivato un suono spettrale, quasi onnipotente, che sembra sottolineare un concetto di ampiezza e di spazio: i primi sette minuti di Fahrkunst (che tradotto in italiano dovrebbe stare per “abilità di guida”) è un drone del tutto speciale ricavato da questa sistemazione musicale che è anche escatologica; il piano però non è un inviato speciale delle tecniche e delle estensioni ma è presente con un’opera di mediazione che, in maniera schietta, ricorda di possedere un’eredità a cui non si può sfuggire: può essere un motivetto di quelli che si stampano nella memoria (in Hoksang e Boyd 1970 ci sono delle forte affinità con il Jarrett parcellizzato blues dei primi settanta) oppure un patterns di note serializzate che accompagnano quell’espressione sotterranea del piano che non conosciamo e che Wallumrod tenta di far emergere (vedi Second Fahrkunst); ecco, quindi, che il piano delinea un percorso che è di rispetto per la vita, per le sue semplicità ma che non disdegna di di produrre la denuncia ambientale: School of Ecofisk rimanda ad uno dei principali giacimenti di petrolio in Norvegia, causa di incidenti memorabili e di contrarietà politiche e si compone di un blues pianistico calmo e propedeutico ad uno spazio lavorato memorabile, tutto esaltato sui tasti dei toni alti del piano opportunamente preparati. Ho letto alcune recensioni della stampa su Pianokammer, piuttosto lontane dal mio pensiero, che ritengo non colgano il reale filo conduttore che indica questa architettura di suoni: pur non essendo certamente un capolavoro, esso ha il dono di coniugare fasi mentali (che viaggiano e si ripresentano nella testa del musicista) con una correlazione immediata tradotta in suoni. E’ una dote che non si trova in giro facilmente.
“Untitles arpeggios and pulses” è un’altra combinazione progettuale che accompagna le scarne evoluzioni del pianoforte dinanzi alla Trondheim Jazz Orchestra piena di giovani promesse dello stile nordico: qui entriamo in una vera e propria free form telecomandata da Wallumrod che fissa un patterns ripetuto di accordi (gli Untitles arpeggios) che potrebbe emotivamente nascondersi nelle similitudini dei richiami sonori di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (un messaggio musicale che non ha le pretese di riconciliarsi con gli alieni ma con i terreni e per tale via è ugualmente gioioso), interlacciandosi poi al dialogo libero ed imprevedibile dei partecipanti, dominato dalla creatività disposta di fianco alle amplificazioni, alle estensioni e alle spocchiose evoluzioni di giochi elettronici (la parte “and pulses“): è un’orchestra che ad un certo punto perde i connotati di qualsiasi orchestra jazzistica o classica per via di una decostruzione sonora che lavora allo stesso modo dell’officina musicale di Experimentum Mundi di Battistelli.
“Untitles arpeggios and pulses” è un’altra combinazione progettuale che accompagna le scarne evoluzioni del pianoforte dinanzi alla Trondheim Jazz Orchestra piena di giovani promesse dello stile nordico: qui entriamo in una vera e propria free form telecomandata da Wallumrod che fissa un patterns ripetuto di accordi (gli Untitles arpeggios) che potrebbe emotivamente nascondersi nelle similitudini dei richiami sonori di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (un messaggio musicale che non ha le pretese di riconciliarsi con gli alieni ma con i terreni e per tale via è ugualmente gioioso), interlacciandosi poi al dialogo libero ed imprevedibile dei partecipanti, dominato dalla creatività disposta di fianco alle amplificazioni, alle estensioni e alle spocchiose evoluzioni di giochi elettronici (la parte “and pulses“): è un’orchestra che ad un certo punto perde i connotati di qualsiasi orchestra jazzistica o classica per via di una decostruzione sonora che lavora allo stesso modo dell’officina musicale di Experimentum Mundi di Battistelli.
In una edizione limitata in LP a 300 copie, il terzo progetto per Hubro con il fratello Fredrik dal nome Brutter, si riversa invece nell’elettronica delle drum machine, dei suoni percussivi da sintetizzatore supervisionati da una batteria, anche qui cercando combinazioni inusuali: con il pianoforte messo da parte l’esperimento è quello di coniugare risposte percussive, un modo per tentare di avvicinare le recenti cognizioni classiche dell’energia e del parossismo musicale sugli strumenti relativi.