Tesori musicali di un’epoca dimenticata: sui Jefferson Airplane

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Fonte KRLA Beat page 11 Autore KRLA/Beat Publications-page 2 Photo by Chuck Boyd of Beat. The newspaper was produced for KRLA Radio, Los Angeles, in the mid-1960s., public domain
Quello della controcultura americana dei sessanta può essere considerato un sogno finito troppo presto nella realtà qualora non se ne percepiscano i sensi e i principi lasciati sul terreno. Musicalmente parlando, nella seconda metà dei sessanta molti musicisti capirono, dopo la folgorazione di Dylan e dell’allargamento del folk alla protesta sociale e politica, che era arrivato il tempo di farne propri i contenuti, alimentando un’esperienza di gruppo. Tra le note vicende della psichedelia americana di quell’epoca un posto non indifferente lo rivestì l’aggregazione dei Jefferson Airplane: seguendo le rinnovate consuetudini che avevano preso piede in tutte le arti, il gruppo di S. Francisco si presentò come un modello americano anticonformista nella sua configurazione tipizzante: se vi è capitato di guardare il capolavoro cinematografico di John Milius, ossia Un mercoledì da leoni, vi renderete conto di come la gioventù si trovasse a vivere un momento fortissimo, irripetibile, in cui la coesione dei valori era un elemento fondamentale dei rapporti interpersonali; i Jefferson Airplane sembravano un gruppo di ragazzi fuori dalla norma, che si riunivano in casa per suonare e cantare vocalizzando, salvo poi scoprire che in mezzo a loro vi erano dei talenti immacolati. Nella formazione classica del gruppo tutti avevano qualcosa da dire ed ognuno ne coltivava l’espressione in seno al gruppo stesso: Paul Kantner per la scrittura dei brani, Grace Slick per la vocalità, Jorma Kaukonen nell’idea del recupero tradizionale, Spencer Dryden e Jack Casady per gli arricchimenti ritmici, tutti davano la sensazione della “comunità” di intenti trasferita in un disco. Dopo un paio di episodi discografici ancora un pò acerbi, i Jefferson Airplane si imposero nel 1967 con After Bathing at Baxter’s, un lavoro quasi totalmente sulle spalle di Kantner, la cui capacità di scrittura, sapientemente amalgamata in un lavoro melodico spartano e con un sentiment quasi arcano (frutto dell’adesione al blues più criptico alla Eric Burdon), venne affiancata da alcune sperimentazioni free, che quasi certamente provenivano dagli esperimenti equivalenti che nella classica e nel jazz erano stati effettuati quanto alle combinazioni su nastri e alla propensione alla jam strumentale senza sincope precostituita. In quel lavoro prese corpo anche l’adattamento letterario, un’altro elemento che la controcultura lasciò in eredità all’ascolto e agli ascoltatori di tutti i tempi: The ballad of you and me and Pooneil incrociava su un asse incredibilmente stretto i giacimenti della coscienza di Fred Neil con la letteratura di Milne.
Tuttavia il ruolo di Kantner venne progressivamente decentrato a favore di una più ampia democrazia di gruppo: in Crown of Creation la palla passò alla Slick, che dimostrò di essere completamente a suo agio nel diluvio di anticonformismo profuso dai temi del disco nel 1968: un mezzosoprano che si conteneva a stento nelle strutture rock, una donna bellissima con un fascino magnetico che, con testi straordinariamente sciolti in una dolcezza contrastante con la pericolosità dei temi, si inseriva a perfezione in quel magma di risulta delle tendenze musicali. Grace cantò anche la Triad di David Crosby, il quale naturalmente avrebbe potuto far parte dei Jefferson senza nessun problema.
Come ribadito da molta stampa, i Jefferson Airplane raggiunsero il loro apice creativo nel ’69, con la realizzazione di Volunteers, che seguiva un forte ridimensionamento dell’appeal del movimento dopo i fattacci di Bel Air; tuttavia in esso i Jefferson cercarono di fissare uno standard non solo politico e sociale (l’uccisione di Kennedy, la guerra in Vietnam, il ritorno rurale, la necessità di comportamenti non convenzionali), ma anche musicale: venne posto l’accento sui particolari musicali richiamando, tra gli altri, direttamente Crosby per una intergalattica folk song come Wooden Ships (vertente su una probabile apocalisse nucleare), Jerry Garcia per un intervento alla pedal steel guitar in The farm (propedeutica per esprimere il contagio country-rock) e Nicky Hopkins come spezia pianistica da condividere con il nascente pianismo rock della Slick. Ne venne fuori un capolavoro, che mise assieme poli della cultura diversi, da Amiri Baraka ai poeti russi dell’antimilitarismo, dalla sociologia della condizione agraria alle false condizionali dell’amore. Probabilmente su questo spaccato della società e dell’arte americana, il cerchio si chiuse con l’album solo di David Crosby, If I could remember your name, lavoro in cui Kantner, Casady, Slick e Kaukonen supportarono il trasognato mondo del musicista dei Byrds, restituendo ancora quel senso di comunità precedentemente accennato.
Tutto l’hippie movement fu indiscutibilmente legato alla necessità di sperimentare l’uso degli allucinogeni laurendosi anche nel comparto musicale con composizioni che ne vuotassero i significati; in tal senso i Greateful Dead, rispetto ai Jefferson, furono degli insuperabili messaggeri di quello che si poteva raggiungere con la musica tramite l’assunzione di LSD ed altre droghe; naturalmente questi comportamenti potrebbero risultare eccessivi se non si considera che quei ragazzi, così evoluti da non aver paura dei rischi di una siffatta situazione di fronte ai benefici culturali che ne potevano conseguire, incarnavano un irripetibile momento della storia anche musicale.
Questi ragazzi erano interessati a Bartok e a Prokofiev, a Miles Davis e Charlie Parker e guardavano con sospetto a Elvis Presley e ai Beatles.