Eva Reiter: sull’arte della movimentazione dei suoni e della loro aggressività

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Per una corretta comprensione dell’aggettivo “aggressione” nella musica contemporanea è necessario riflettere su quanto succede oggi nella vita personale e sociale di ognuno di noi: non si scopre l’acqua calda di certo, quando si ragiona sulla potenza dei virus e sulle difficoltà della medicina di affrontare il problema delle insufficienze antibiotiche, o sull’accresciuta forza degli agenti atmosferici, degli insetti e degli effetti indotti dal vivere notturno, oppure ancora quando si pensa agli stimoli al negativo che provengono da una frequentazione massiccia ed errata dei social network. Così come rilevato da tanti autori in materia, l’aggressività umana si sta adeguando a questo cambiamento sviluppandone una propria in forma di reazione, in una maniera che è necessaria per combattere tutte queste forme di tribolazioni esterne: dal punto di vista delle arti, e della musica nello specifico caso, essa si è rivelata soprattutto con una crescente intensificazione dei fattori timbrici; ciò che a livello sonoro storicamente si sistemava con criticità tra le priorità di Varese si è poi riprodotto con una scala maggiore con gli studi sulla massa, dove giganti come Xenakis ne hanno però dato evidenza con altre soluzioni empiriche; quello che si va oggi delineando nella musica di inizio secolo è un ingigantimento di una funzione speculare della musica, quella che vede nelle estensioni possibilità estreme ma anche aperture incredibili al futuro.
La monografia per Kairos di Eva Reiter, compositrice e musicista del Klangforum Wien, è quanto di meglio si possa ascoltare per maturare un’idea sul problema dell’aggressività così come l’ho posto finora: la Reiter ha sviluppato per suo conto un’attitudine alle disposizioni del suono e al loro dettaglio come pochi hanno fatto (un compositore che mi viene in mente con gli stessi stadi di risoluzione estetica è Stefan Prins), coinvolgendo musicisti specializzati nell’esplorazione delle tecniche estese messe in relazione con un progetto teorico di alto profilo (questo ha dato materiale di lavoro al suo Ensemble Multiple Me). L’avanzamento concettuale sta anche nel fatto che la Reiter-musicista, oltre ad essere un’apprezzatissima suonatrice di viola da gamba, è una gran specialista del contrabass recorder, una sorta di flauto gigante costruito in laminato di betulla, che produce un timbro sordo, legnoso ed apparentemente con poche armoniche: è proprio partendo dal contrabass recorder di Noch sind wir ein Wort… che la raccolta Kairos vi introduce nel mondo sonoro della Reiter; come rilevato nelle note interne da Karin Harrasser le composizioni della Reiter sono rappresentative di un sommerso animistico, un mondo cinetico che richiama la fiction scientifica di Ursula Le Guin o il real maravilloso dello scrittore cubano Alejo Carpentier: questi autori hanno amplificato il surrealismo di Tolkien, Garcìa Màrquez o De Chirico e lo hanno portato in una dimensione moderna; a questa lista non esiterei ad aggiungere il recentissimo Spielberg di Ready Player One, quantomeno per le capacità spasmodiche prodotte dalla movimentazione dei personaggi, animali ed oggetti, nel mondo virtuale creato dal regista.
Noch sind wir ein Wort… ha una spettacolare resa sonora che la Reiter (al contrabass recorder) ottiene dopo un eccellente trattamento delle risorse a disposizione: assieme a lei Uli Fussenegger (al contrabbasso), 10 componenti del Klangforum invitati a suonare solo con bocchini, vuvuzela e fonemi di canto, più un pesantissimo ed accurato lavoro all’elettronica fatto dal tecnico del suono Peter Bohm. La Reiter descrive il pezzo come il raggiungimento di un’azione mirata, tesa a costituire un’unità e una massa sonora collettiva: l’idea è di riprodurre la complessità dei linguaggi e la caotica rappresentazione degli interventi dei singoli nell’unità, come se si potesse riprodurre in musica una seduta di un consiglio comunale particolarmente effervescente; ne scaturirebbe un suono di risulta, che lavora come specchio dei tempi: “….in this way it reflects the tensions which shape not only subtle social interactions but also our self-conception, the notion and assessment of our own actions….” (così la Reiter nelle note informative della composizione, pubblicate sul sito della Klangforum Wien).
L’espansione timbrica e corale, nonchè le indispensabili indicazioni delle estensioni e dell’elettronica, sono le coordinate su cui si muove il pensiero della compositrice austriaca: le qui presenti Irrlicht, con flauto, tromba, trombone, percussioni, archi ed elettronica, o Masque de Fer, per voce, flauto, dan bao, viola e percussioni, non hanno nulla da invidiare a Noch sind wir ein wort…, e propinano un dettaglio fittissimo di elementi che non riuscirei in numero a descrivervi completamente in una recensione; un apparente disturbo si erge simbolico come irriverente trasformazione delle basi classiche in Allemande multipliée, una composizione che sfida Bach colpendo parte dei parametri che c’è l’hanno fatto amare: la rivolta intellettuale perfettamente in linea con lo stile aggressivo della Reiter si inserisce con quanto fatto concettualmente da compositori come Wolfgang Mitterer su altri capisaldi della classica (ricordo Beethoven in particolare), ma l’unicità della scrittura della Reiter regala alla violinista Annette Bik un contesto sovraeccitato di Double, le danze della partita BWV 102 di Bach: la Bik si avvale contemporaneamente di un pedal board, di una melodica e di una serie di gesti che la coinvolgono totalmente, dal corpo alla voce in un confronto di indubbio fascino. C’è anche la possibilità di transigere su In groben Zugen, il quartetto d’archi che si avvale di una scrittura senza respiro, accresciuta dell’energia dei trasduttori che in questo caso rappresentano la parte elettronica, un vortice di suoni che si avvicina un pò alle condensazioni umorali della musica di Gander. Leggermente più riflessiva è invece Konter, per flauto contrabbasso ed elettronica, dove uno sfondo isolazionista fa da cornice alle plurime manovre estese di Michael Schmid (vedi qui la prova generale del pezzo presentata nel 2013 ai corsi estivi di Darmstadt).
La musica della Reiter apre un grosso interrogativo sul futuro della musica, in relazione all’accettabilità del suo carattere aggressivo: se dal punto di vista dell’arte non è possibile effettuare nessuna recriminazione giacché la Reiter offre nelle sue profondità uno spaccato di un’eccezionale puntualità della società attuale, dal punto di vista dei sentimenti offerti potrebbe trovare un ostacolo nel tipo di esplosione delle masse sonore che viene consegnata, che non danno spazio a nessuna cultura dei parametri musicali nel senso in cui l’audiance è cresciuta; io penso che queste strutture asemantiche, con ritmiche così accentuate e un alto valore delle soluzioni tecnologiche vanno interpretate singolarmente e, nel caso della Reiter, in senso positivo, poiché a differenza di altre operazioni che soffrono una sorta di afasia tra la fase progettuale e quella della trasposizione musicale, quella della Reiter possiede elementi che invece attraggono la fantasia e la formazioni di immagini vivissime nella nostra mente, proprio perché sono ben radicate nel suono, nei modi in cui produrlo e in definitiva nei suoi poteri; come afferma la Harrasser, si tratta di “…lively environments (rainforests, factory floors, underwater worlds) and of slapstick and comedy (crashes, collisions, collapses, and in any case animals, animals that sniff, rattle, grunt, roar and nibble…“.
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Nota:
*la foto dell’esibizione alla Mozartsaal della Wiener Konzerthaus è di Guenther Bernhart.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.