Senza conoscere la meta

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Pensierarte opera propria, Kandinsky , CC0

Qualche riflessione sulle bellissime novità Leo Records.

Comincio con il pianista Pat Battstone, circondato da un gruppo di bravissimi musicisti pugliesi. The last taxi – New Destinations è un altro affondo nel paradigma urbano, lavorato su una dimensione specifica dell’improvvisazione e del jazz; ciascuno dei partecipanti porta in dote l’effetto di una propensione mentale, connessioni plurime che depongono verso scenari tendenti all’onirico. E’ una sintassi casuale dove Battstone si inserisce con il suo pianoforte quando è giusto farlo, lasciando che vari elementi si esplichino: nei primi brani del cd il canto di Chiara Luzzi è protagonista di un ambiente che fa pensare molto a quel trasognato poetico di Verlaine o Baudelaire quando coprivano il senso dell’irregolarità, assecondando percorsi nebulosi e stranianti; si fa viva la materia del linguaggio scomposto del canto, libertà, simulazioni ed estensioni vocali che si distribuiscono su una tela perfettamente intonata per accogliere il vago, sperimentare situazioni tramite l’articolazione fraseologica. La montatura improvvisativa si nutre di altri apporti eloquenti: il flauto di Giorgia Santoro arrotonda tutti gli spazi, la sezione ritmica (Rathbun più Mongelli) è in grado di distribuire con raffinatezza timbrica il passaggio tra gli spazi più appartenenti alla materia jazzistica ed improvvisativa e quelli più ritmicamente definiti; quando con Sunrise over painted desert si percepisce una svolta climatica, in cui Battstone e soci accentuano la forza delle immagini, si permette alla chitarra di La Volpe di compiere le sue evoluzioni. Viene fuori così un’ampia geografia del taxi, un benessere strumentale che copre deserti, mercati nordafricani e giardini giapponesi. The Last Taxi – New Destinations è jazz incasellato in un umore, un sogno musicale dove succedono molte cose e siamo tutti certi che, dalla sperimentazione di una sorta di sfumata trance ipnagogica della musica, sia possibile operare su un terreno di esperienze concrete della coscienza.

Ritorna John Wolf Brennan con due cd: il primo proietta l’esperienza Pago Libre, mentre il secondo è una raccolta della sua produzione in solo piano. Quello con i Pago Libre è pensato per riempire di musica una potenziale colonna sonora di un film (anzi, in realtà si tratta di 16 pezzi distinti): Cinémagique 2.0 non fa altro che adeguare la tipologia musicale dei Pago Libre ad un’ipotetica attività cinematografica; si capisce che Brennan è molto preso dai films di Fellini, Godard, Hitchcock e Tarkovsky, tutti registi dichiaratamente citati nelle note di presentazione dei brani, ma potrebbe dire molto solo a chi si accontenta. Nevergreens, invece, ci consente di riascoltare un pianista eccellente, la cui produzione solistica al piano solo ci fa ricordare di tempi in cui per la testa dei musicisti passavano altre cose: una melodicità spontanea e coinvolgente, una sperimentazione effettuata con piano preparato e soprattutto con l’arcopiano, uno strumento musicale sui generis formato da un pezzo degli interni del piano (la cordiera) e da conduttori metallici risonanti in grado di sostituire teoricamente gli archetti di un violino. Pur non essendoci nulla di nuovo, in Nevergreens si respira un clima di serafico benessere, che fa trasparire la gioia “trasmissiva” del suonare e del provocare emozioni. Quanto al piano solo, Brennan sta già pensando ad una nuova trilogia solistica (chiamata red trilogy, dopo la blue e la yellow trilogy), in cui non secondaria dovrebbe essere l’attività di reinterpretazione. Aspettiamo tutti fiduciosi.

Ritorna anche Carolyn Hume in duo con Paul May. Kill the lights (titolo del nuovo cd) si stende sulle medesime coordinate che hanno caratterizzato la musica del duo, ma con un grado di esperienza e maturità delle soluzioni che è cresciuto nel tempo. La bellezza della musica sta nel fatto di saper metter incredibilmente a confronto due modalità di espressione: da una parte c’è una pianista che imposta il suo stile su armonizzazioni jazzistiche estemporanee, mai legate tra di loro e tendenti alla risonanza acustica; dall’altra un batterista che usa il suo strumento in maniera atipica, andando alla ricerca di piazzole compositive, ottenute strisciando i rivestimenti o ideando particolari patterns ritmici. Naturalmente il clima che risulta è misterioso, ma anche estremamente affascinante e moderno, con un indiretto risultato che viene raggiunto, un avvicinamento alle stasi dei musicisti ambient o minimali. In Surrender i due si avvalgono della chitarra elettrica di Bernd Rest, mentre in Kill the lights, le inserzioni prolungate di synth della Hume di fianco al drumming semi-tribale di May, fanno pensare a nuove direzioni. Comunque sia, quello degli inglesi è un jazz bellissimo, che probabilmente dev’essere ancora compreso.

Riceviamo con gran piacere il secondo volume di The Collective Mind, dell’Ensemble di Heinz Geisser, con 7 pezzi che provengono dalle stesse sessioni di registrazione del primo volume (vedi qui la mia recensione). Nelle note interne Geisser ci tiene a precisare che ci sono differenze rispetto al primo volume: “…a different perspective of the session..” (dalle note interne di Glenn Astarita). Qual è questa seconda prospettiva? Difficile dirlo per un neofita o anche un buon esperto dell’improvvisazione. Personalmente ritengo che essa risieda in un’incremento sperimentale richiesto ai musicisti, probabilmente suonare più intenso e veloce per ottenere nuove delucidazioni della relazione musicale: in quest’ottica Geisser mette in campo più soluzioni non convenzionali per un botta e risposta, Morgenthaler fila spedito come un treno, Staub usa più variazioni tayloriane, Blumer diventa uno stantuffo. Mentre il vol. 1 era come una pianura di suoni e relazioni molto libere, il vol. 2 è un tratto di quella pianura dove, per superare degli ostacoli, è necessario un coordinamento veloce e interattivo dei musicisti. Comunque sia, sempre grande musica rimane.

Enrico Fazio mancava dal 2013 ad una registrazione per Leo. Enrico si presenta sempre con una band (la Critical Mass) di elementi fedeli ad una filosofia musicale che non cambia e si arricchisce: il ceppo principale della sua idea risiede nel concetto di “guida” che apparteneva a Charlie Mingus, dove il contrabbasso è un dispensatore di direzione; grazie a lui la band può accelerare o decelerare, stimolare azioni di gruppo o assoli. Fazio, però, ha costruito uno sviluppo alternativo a quello di Mingus, che ruota attorno a dei temi che hanno più parentele con l’Hot Rats di Zappa che con quanto fatto dal contrabbassista americano e poi ha provveduto a dotare/migliorare la band di due influenti aggiunte: una parte strings, che ingerisce i contrasti dei fiati e rilancia e un allargamento alla comunicazione popolare tramite strumentazione di derivazione etnica. In Wabi Sabi (questo il titolo del cd) si compiono queste miracolose azioni: jams con assoli straripanti che chiedono il vostro applauso (su tutti quelli di Gianni Virone, Adalberto Ferrari e Luca Campioni), pezzi eclettici che mettono assieme un’orchestra a più disfunzioni (l’Africa centro settentrionale con kora e djembe suonati da Moustapha Dembele, che si confronta in un territorio europeo composto da strumenti a fiato e a corde particolarmente presenti), un theremin, posto al centro di un’evoluzione orchestrale che, grazie ad un suono premonitore, lancia un avvertimento, una denuncia sulle eredità della Terra quantomai incerte. Wabi sabi è un contenitore di felicità ed energia positiva, godurie a cui forse non siamo più abituati ai nostri giorni, dove la musica viaggia in una sorta di cabina di pilotaggio, sapientemente guidata da Fazio; la parte conclusiva di Lectio Magistralis è emblematica di questa vitalità, pronta a regalarci le stesse emozioni “infantili” che ci regalava una dixieland band di New Orleans.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.