L’utilizzo dei trasduttori nella composizione musicale impone un nuovo ordine di considerazioni sul tema della ‘vibrazione’. Come già evidenziai in un mio precedente articolo del settembre 2019 e che vi invito a rileggere qui, i trasduttori sono applicazioni che riescono a trasmettere sensazioni fisiche attraverso il canale del nostro profilo corporeo, qualcosa di estremamente differente dalle normali amplificazioni, sulle quali si mantiene sempre un certo distacco. La ‘vibrazione’ viene accolta come un fattore aumentativo, con gli esecutori o i performers che interagiscono con il feedback sonoro che il trasduttore ha creato una volta montato sugli strumenti o gli oggetti (molte volte l’aggeggio è tenuto in mano e il suo feedback nobilitato da una movimentazione applicativa plurima del performer); la vibrazione e la relazione corporale conseguente diventano driver esplorativi di strati di inferenza sonora in grado di mettere in contatto l’esecutore con le zone non udibili degli oggetti