Scompare un altro gigante del primo free jazz europeo. La storia ci dice che il percussionista svedese Sven-Åke Johansson ha costruito la sua popolarità in Germania come uno dei primi batteristi non convenzionali venuto alla ribalta a 24 anni grazie alla partecipazione di un paio di icone del free tedesco dei sessanta, ossia For Adolphe Sax e Machine Gun (per il Peter Brötzmann in trio e in ottetto); la sua presenza fu fondamentale per quella costellazione di musicisti, per quel bisogno di innovazioni che stimolava una collettività intera, e il suo drumming si mise a disposizione di tanti musicisti del posto, cominciando da uno dei quintetti di Manfred Schoof, passando per la Globe Unity Orchestra e finendo ai ricorrenti duetti con il pianista Alexander von Schlippenbach. Fu l’inizio di un viaggio pieno di soddisfazioni, con centinaia di incontri e di pubblicazioni discografiche che faranno emergere molte qualità differenziate: uno dei primi album di batteria free jazz in solo è il notevole Schlingerland / Dynamische Schwingungen del 1972, un bombastico tour de force con due lunghe jam che vogliono illustrare gli effetti di ‘confusione’ e ‘risonanza’ dell’agire tramite poliritmie libere; nelle esibizioni con Schlippenbach Johansson introdurrà aspetti dadaisti in antitesi con le prescrizioni dell’epoca, ricorrendo alla gestualità teatrale, alla voce sotto forma poetica o del canto, e poi userà spesso la fisarmonica o oggetti strani come i tendiscarpe per le sue performance. Virtuoso ed ironico, Johansson è stato una bella mente, poeta, artista visuale, frequentatore delle radio stazioni tedesche e uomo di cultura, con un ruolo anche nell’elettronica associata all’improvvisazione: nella collaborazione con Jan Jelinek che dà origine alla musica di puls plus puls Johansson si interrogava addirittura su una funzione animistica del batterista:
“Che sia il batterista a imitare la macchina o la macchina a imitare il batterista non è più una questione di critica culturale o di teoria dell’estraniamento: l’assemblaggio ritmico sulla catena di montaggio riguarda solo una piccola parte del mondo del lavoro odierno. Più importante è la questione fondamentale animistica: il soggetto (il batterista) è contenuto nel ritmo o si perde nel ritmo? Oppure segue un assetto sperimentale che funziona come una composizione o un esperimento concettualista, che tiene conto di entrambi e li considera entrambi” (note di puls plus puls, mia traduzione dall’inglese).
Per chi avesse la forza di andare a rispolverare l’enorme quantità delle sue registrazioni c’è il suo sito, un archivio completo che documenta tutta la sua attività e poi una pagina bandcamp ricca di produzioni (da ascoltare o acquistare) che Johansson aveva da tempo preparato probabilmente come selezioni d’ascolto privilegiate, sia per l’etichetta da lui fondata, la SÅJ-Records, sia per le altre dove ha inciso tanto, un posto dove c’è una folta rappresentanza di quello che gli appartiene a livello di creatività e che meriterebbe uno spazio di analisi e studio maggiore di quello che sto dando io per il suo necrologio: il consiglio è di andare perciò a ritrovare il periodo FMP, il concerto per 12 trattori, tutti i duetti con Schlippenbach, il duo con Jelinek e scovare alcune delle sue tante ingegnose idee post-moderne, dalla Trilogie fur Windgeneratoren (il ‘suono’ di tre turbine eoliche) fino alle sperimentazioni sonore sulle affettatrici di uova (10 + 1 Egg slicer for ensemble).
RIP Sven-Åke Johansson