Solo qualche mese fa indicavo Laterna Magica di Theo Jörgensmann tra i 10 dischi di tutti i tempi al clarinetto free improv. Jörgensmann è stato tra i primi specialisti del clarinetto applicato alla libera improvvisazione quando era già matura un’espressività idiomatica dello strumento e si sentiva la necessità di espandere i confini. Nella culla geografica di una Germania attentissima alle convergenze di ogni tipo, lo stile di Jörgensmann era perfetto per non lasciare scontento nessuno: ritorni di tecniche classiche, mediazione sugli idiomi jazz e tanta voglia di creare nuovi collegamenti; nella Germania di Alexander von Schlippenbach, Peter Kowald, Ernst-Ludwig Petrowsky, Günther Christmann o Georg Gräwe, Jörgensmann seppe subito ritagliarsi un proprio spazio in una generazione che stava percependo un cambio di rotta per il jazz. Il suo stile era molto narrativo, confortevole, con un gran lavoro sulle texture piene di irregolarità, contrasti ed escursioni di registro e, soprattutto ai tempi di Laterna Magica, un substrato linguistico e filosofico, un’aderenza alle teorie di Jean Gebser, sostenitore di un interessante collegamento tra musica e psiche attraverso un analisi delle frequenze: la musica la poteva influenzare grazie ad una complementarietà trovata nelle pieghe dei suoni e delle loro combinazioni (dato quantitativo) e nel tipo di percezione (dato psichico-qualitativo); Jörgensmann era convinto di questi benefici e cercò di sviluppare questa intima idea non solo con albumi solisti ma anche attraverso collaborazioni particolari, tra le quali quella con l’altro clarinettista al registro basso Eckard Koltermann ha un’importanza superiore perché segna anche un’eredità in transito.
Il clarinettista tedesco è stato un serio pedagogo, ha insegnato clarinetto all’Università di Duisburg e dal 1993 al 1997 è stato docente di improvvisazione libera presso l’istituto di musicoterapia dell’Università di Witten/Herdecke. Jörgensmann ha messo in piedi nel tempo molte formazioni specializzate sul clarinetto ed ha lasciato anche un contributo filosofico sull’improvvisazione, un libro del 1991 scritto con il musicologo Rolf-Dieter Weyer dal titolo Kleine Ethik der Improvisation, che però non è stato mai tradotto dal tedesco. Molta della sua discografia (specie quella risalente al secolo scorso) è stata inghiottita dall’oblio e molti dischi sono introvabili, tuttavia un beneficio che si espande con più decisione oltre l’idioma jazz e che vi consiglio di percorrere per una valutazione appropriata delle innovazioni apportate è quello che si avverte dall’ascolto dei suoi dischi solisti, per via degli assoli e degli incredibili ostinati (oltre Laterna Magica, Zeitverdichtung e So I Play), dall’esperienza ‘ungherese’, ossia le registrazioni in duo con il pianista Binder Kàroly e la band Pangea, con cui ebbe modo di applicare le strutture fonetiche di Bartok, dalla compo-improv del German Clarinet Duo con Eckard Koltermann (Schwarzlicht, Materialized Perception, Pagine Gialle). Il meglio di un fiume di musica.
RIP Theo Jörgensmann (1948 – 2025)






