R.i.p. Louis Andriessen

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jmv from New Westminster, BC, Canada - Louis Andriessen at the Roundhouse Uploaded by Magnus Manske, CC BY 2.0
Diventa sempre più frequente il necrologio, cosa che certamente non mi fa piacere per nulla.
Il periodo fecondo di Louis Andriessen può ben rilevarsi nel decennio 1969-1979, periodo in cui il compositore olandese emerse per almeno un paio di ragioni: la prima fu quella collegata alla nascita di un teatro olandese del tutto particolare, in cui si intrecciavano politica, innovazioni armoniche, improvvisazioni e decostruzioni (assieme a Mengelberg, De Leeuw, Schat, Mulisch mise in piedi la grande operazione di Reconstructie nel ’69); la seconda, invece, camminava dietro i profili del minimalismo americano, impostati sotto una luce differente però, dove i materiali armonici delle ripetizioni non avevano scopi metafisici o illusori, ma al contrario avevano i caratteri di una severa rivolta, meccaniche al servizio dell’implacabilità del ritmo (qualcosa che si concluse pressappoco con Mausoleum nel ’79).
In quel decennio Andriessen mostrò tutto il suo potenziale creativo e si materializzò l’interesse verso alcuni elementi specifici della musica utilizzabili per rinnovare le forme: l’hocketus, il jazz (il be bop e il legato di Charlie Parker, captato per entrare nella sua composizione), le coalizioni strumentali tese al recupero di certi idiomi classici.
Con molta franchezza, dopo il ’79 faccio fatica a ricordare qualcosa che possa lasciare traccia, grazie anche al fatto che Andriessen intraprese una regolare attività rivolta al teatro, ma senza grandi innovazioni ed è sintomatico che il compositore sia piuttosto assente dalla migliore storiografia classica.
Tuttavia, è innegabile che oggi gli elementi musicali trattati in quel fruttuoso decennio prima menzionato, siano stati particolarmente appetibili per molti compositori e musicisti dell’odierno: senza Andriessen forse non ci sarebbe stato il teatro di Van der Aa, così come alcune nuove frange del nuovo jazz che viene da New York, fortemente ideate sullo studio ritmico, gli pagano un tributo evidente (John Hollenbeck, Matt Mitchell o Anna Webber per sua stessa ammissione).
Spero che le morti si fermino un pò.

RIP Louis

Worker’s Union

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.