Necrologi su artisti rock: David Crosby e Tom Verlaine

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Qualche pensiero analiticamente sintetico su David Crosby.
Per chi è riuscito a mettere in piedi un capolavoro come If I could only remember my name direi che c’è poco da discutere, solo celebrare!. C’è un intreccio di qualità che si collega con la scena pop-rock californiana degli anni sessanta, nell’epoca in cui si coltivava l’epopea del sogno e delle armonizzazioni di ogni genere. A David Crosby Iddio aveva fatto gran dono sulla voce, un timbro unico e riconoscibile, impostato su registri confidenziali e finanche onirico, che svettava in un circo di attori musicali non sempre rilevante. Mettendo da parte gli errori e gli eccessi, Crosby mise a disposizione la sua voce per cacciare le ombre della vita e, vista la qualità psicologica dei suoi testi, sarebbe stato anche un affermato poeta se lo avesse voluto.
Ci sono voluti anni per ricostruire la sua vita artistica, gonfia di uno stop piuttosto lungo, con la gente che aveva voglia di riascoltare nuova musica da lui. Al riguardo c’è un aneddoto che mi piace ricordare e che si riporta all’anno di pubblicazione di Yes, I Can!, il suo ritorno discografico dopo 18 anni da If I could only remember my name, che avevo avuto cura di registrare su un walkman che portavo sempre con me a Roma durante i viaggi in metro o autobus, mentre facevo il servizio militare: mentre ascoltavo con un orecchio non coperto dalla cuffia la musica di David, mi accorsi di un ritorno di cuffia di un’altra persona dinanzi a me che stava ascoltando le mie stesse cose.
Con molta onestà devo dire che in Yes, I Can! Crosby non aveva azzeccato nè produzione nè arrangiamenti e per sistemare questa incoerenza siamo dovuti arrivare a Croz, posto in cui si cominciò a percepire che i risultati non erano troppo distanti dal mito di If I could only remember my name. I successivi Lighthouse e forse anche Sky Trails furono degni successori di Croz.
Mi piace anche ricordare che nel 2004 Crosby con Nash diede alle stampe un sorprendente doppio CD di canzoni (un omonimo Crosby & Nash) che puntavano ancora più in alto rispetto a quanto qualitativamente fatto dai due musicisti in passato e, per quanto riguarda Crosby, in quel lavoro l’americano trasferì una piena verifica del suo pensiero: invito i lettori ad interpretare la forza del testo di Through Here Quite Often, con argomento “gli stranieri”, dove un’incredibile dolcezza e misurata confusione sostiene la narrazione; oppure anche il testo di Luck Dragon, argomento “guerra”, sostenuto da un intimo cinismo e una musica piena di speranza. Pezzi incapaci di essere obsolescenti!.

Crosby ha messo il suo stampo in tante vicende fortunate della storia del rock (i Byrds, il supergruppo con Stills, Nash e Young, i Jefferson Airplane, Joni Mitchell) ed ispirato tanti musicisti delle nuove generazioni folk e pop: un acuto fortissimo del suo stile si è sentito per esempio in un gruppo come i Fleet Foxes, qualcosa che mi spinse tanto tempo fa a scrivere un’articolo per mostrarne i riferimenti (lo scrissi nel 2011 e lo puoi leggere liberamente a questo link: https://www.percorsimusicali.eu/…/ombre-californiane…/).

Qualche pensiero analiticamente sintetico su Tom Verlaine.
Quella di Tom Verlaine era una musica “percettiva”, soprattutto quando si pensa alla New York elettiva e poetica degli anni settanta. Con Patti Smith, Tom Miller (in arte Verlaine come il poeta francese) abbracciò quella fortissima tensione che affliggeva la gioventù americana, un popolo notturno e alienato che aveva voglia di sottolineare la sua instabilità. Nel 1977 Verlaine, assieme ad altri compagni di viaggio (i Television), dimostrò ancora una volta che era possibile creare un disco dalle matrici punk che fosse confezionabile anche per gli intellettuali della musica: Marquee Moon, così come Horses della Smith o Remain in light dei Talking Heads, sono imperdibili creazioni di valore che santificano musicalmente il genere punk già in quegli anni. Con una sua chiarissima drammaturgia e tanti riferimenti alla cultura beat, il percettivo Verlaine ragionava come un poeta d’inverno, con una musica che coniugava in maniera perfetta istinto e costruzione. Linguaggio e musica cercavano con lui una sintomatologia ben precisa, soprattutto l’esser “taglienti”, e le costruzioni di Marque Moon nonchè di parte del successivo Adventure lo verificarono. Più che mettere in evidenza il chitarrista, sarebbe opportuno dare spazio al tipo di soluzioni musicali che Verlaine trovava nei suoi pezzi, qualcosa che è allarme, protesta dal “ghetto”, cristalli rotti.
E’ giusto pensare che quando Tom ruppe con i Television l’affascinante disegno naive cominciò a perdere d’intensità: qualche scia positiva del ’77 in Dreamtime e poi un cambiamento improntato ad un solido rock con Flashlight, quasi una resurrezione in un’epoca che aveva già altri obiettivi.
Se vi è possibile, leggete le sue poesie, soprattutto quelle con Patti Smith nel libro di The Night.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.