Chicago jazz scene

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Fred Anderson at the HotHouse in Chicago, March 12, 2005, fonte: Seth Tisue - Henry Grimes Quartet, CC BY-SA 2.0, no change was made

 

Prendendo spunto da parecchie novità discografiche degli ultimi mesi, provo a sintetizzare l’attuale scena musicale jazz di Chicago, città che non è stata fondamentale solo nello sviluppo del jazz e del blues, ma ha mostrato anche in altri generi la sua vitalità e pecularietà (pensate ai Tortoise, Stereolab, ecc., nel rock, oppure al movimento house).

Lo spunto proviene da questi cds che vi propongo:

-Fred Anderson, 21st Century Chase: 80th birthday bash, live at the Velve Lounge, 2009
-Fred Anderson, Staying in the game, Engine Studios, 2009
-Myra Melford’ Be bread, The whole tree gone, Firehouse, 2010
-Ken Vandermark/Paal Nilssen-Love, Chicago Volume, Smalltown Superjazz, 2009
-Ken Vandermark/Paal Nilssen-Love, Milwaukee Volume, Smalltown Superjazz, 2010
-Mats Gustaffson, The Vilnius implosion, Nobusiness, 2009 (Lp a tiratura limitata)

 

La scena jazz “creativa” moderna di Chicago è il riflesso dei movimenti musicali del passato. Venne fondata negli anni sessanta quando i tempi erano maturi per improvvisare liberamente integrando quella libertà con una serie di elementi che provenivano anche dal blues e dal mondo della classica e da altri generi. Come dice Scaruffi nella sua enciclopedia del jazz ..i musicisti creativi di Chicago si sentivano liberi di suonare una musica che era praticamente qualsiasi cosa, che richiamava la musica da camera classica europea, nonchè la musica d’avanguardia elettronica, la musica popolare sciamanica dell’Africa, la musica spirituale orientale, per non parlare di blues , rhythm’n’blues, fanfare di strada e big band jazz. gli iniziatori furono Roscoe Mitchel, Henry Threadgill, Muhal Richard Abrams, Leroy Jenkins, Leo Smith (diventato Wadada dopo la conversione), Anthony Braxton e tutti i partecipanti dell’Art Ensemble of Chicago: in specie Joseph Jarman, Lester Bowie, Don Moye. Coofondatore di questo ensemble fu anche Fred Anderson, che però prese subito una sua strada.

 

Fred Anderson si può ritenere come la “vera” anima jazz del jazz chicogoano: un musicista che non digerisce la sala di registrazione, ama le sue origini culturali e vi fonda un locale dove lui e i musicisti possono esibirsi (il famoso “Velvet Lounge”). La sua produzione musicale di oltre 50 anni (Anderson ha festeggiato l’80° anno di età da poco) è condensata nei suoi concerti, di cui abbiamo avuto evidenza su cds solo negli ultimi dieci anni grazie all’opera interessata delle etichette discografiche jazz del posto, la Denmark e la Okka Disc. Anderson è uno splendido sassofonista tenore, una via di mezzo tra l’eleganza di Sonny Rollins, la spiritualità e la trance esplorativa di John Coltrane; nei suoi migliori concerti l’artista cerca di creare una specie di ipnosi strumentale, aiutato in questo dai suoi musicisti fidati (soprattutto Hamid Drake, alla batteria, l’ha notevolmente sostenuto).
La prima registrazione dell’artista come solista risale al 1978 “Another place” su Moers Music (lp mai ristampato su cd) dove l’artista si fa accompagnare da Hamid Drake, Bill Brimfield al basso e da George Lewis alla tromba, firmando i suoi primi brani vincenti. L’anno successivo ancora altre bellissime registrazioni live “Dark Day”, “Missing Link”, “The Milwaukee Tapes” tra il ’79 e l’80. Poi un’eclissi discografica che dura fino al 1995, anno di pubblicazione di “Birdhouse”, che lo riprende in una sua registrazione con H.Drake e B.Brimfield e J.Baker al piano: Anderson firma il suo capolavoro su disco. L’album è di altissimo livello e mostra, oltre alle capacità tecniche di Anderson, un lavoro di coordinamento con gli altri musicisti notevole con attacchi e pause perfettamente calibrate. L’anno successivo forma un trio piuttosto avanguardistico con il bassista Tatsu Aoki e il percussionista Phillard e poi finalmente su cd escono tutta una serie di registrazioni ancora in evoluzione temporale: la Delmark produce tre concerti al Velvet, la Okka riprende vecchie registrazioni o collaborazioni con altri musicisti di spicco della scena di Chicago. Infine nel 2009 una sessione di studio per la Engine Records con il bassista Harrison Bankhead e il drummer Tim Daisy e sempre per la Delmark uno spettacolore concerto pubblicato per festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Queste due ultime pubblicazioni confermano il talento straordinario di Anderson, che continua nel suo stile imperterrito, fatto di cavalcate free jazz, tanto swing, ritmica e percussioni che costituiscono un sostegno indispensabile per creare le sue atmosfere “ipnotiche”. In particolare “21th century chase” è un’altro high point discografico.
La nuova scena di Chicago fiorisce invece negli anni novanta e i suoi musicisti di maggior valenza sono senza dubbio il sassofonista Ken Vandermark e la pianista Myra Melford.
Myra Melford (anno di nascita 1957) studia le tecniche di Henry Threadgill, ma possiede una slancio e una spigliatezza musicale che ne fanno prendere la distanza. Comincia a farsi notare con più preponderanza agli inizi dei novanta con gli album in trio “Now and Now” (Lindsey Horner al bs. e Reggie Nicholson alla bt.), “Jump” e “Alive in the house of saints”: pianista creativa, dalle svariate influenze non solo jazz….come scritto nella biografia del suo sito internet: ….alla tastiera, Melford riformula il blues e boogie-woogie della sua città natale Chicago, in elementi di musica di Europa dell’Est e India, e li fonde con l’approccio percussivo avant-garde che ha coltivato negli studi con Don Pullen e Henry Threadgill. Questo vocabolario musicale personale è ulteriormente arricchito da un lirismo lussureggiante ed è organizzato da un senso della composizione architettonica che deriva dalla formazione classica…………..
La sua verve verrà portata avanti intatta con varie formazioni: prima con un quintetto “Myra Melford The same river twice” per due album con eccellenti musicisti come Erik Friedlander, Dave Douglas e Chris Speed e Michael Sarin, poi in trio con i “Crush”, poi di nuovo in quintetto con gli “Extendend Ensemble”, “The tent” e “Be bread”, tra i quali spicca il trombettista Cuong Vu.
Ken Vandermark, sassofonista tenore e clarinettista, classe 1964, pur essendo stato importato da Boston, è a Chicago che comincia la sua affermazione. Tre sono gli ensemble più importanti che gli danno credibilità: Vandermark Quartet che diventa poi Vandermark 5 anche con nuovi musicisti, Sound in Action Trio, Territory Band, gruppi nei quali suona con ottimi musicisti coadiuvatori della scena locale (Fred Lomberg-Holm, Michael Zerang, Kent Kessler, ecc.). Dotato tecnicamente, si caratterizza per le sue disquisizioni feroci e brucianti allo strumento.
Chicago ha attirato anche molti musicisti europei importanti, soprattutto negli ultimi dieci anni e numerose sono le collaborazioni di artisti del vecchio continente con gli artisti locali, tra le quali quelle più importanti sono quelle apportate dai nordici Mats Gustaffson e Paal Nilssen-Love, e da Peter Brotzman: si assiste alla creazione praticamente di una corrente che attraversa i due continenti e che spinge verso nuovi orizzonti musicali di creatività.
Mats Gustaffson, svedese, 1964, discografia solista e da session-man vastissima, è un avanguardista “free” purissimo al sax baritono ed è uno dei musicisti più incredibili allo strumento che il jazz abbia mai avuto. “Catapult”, suo disco del ’95 in piena solitudine, riesce a dare al baritono una “voce” straordinaria, lontana da sterili e risaputi sperimentalismi. “Vilnius Implosion” è il seguito ben confermato di quel disco.
Paal Nilssen-Love, norvegese, batterista, anch’egli con una buona carriera alle spalle, trova nelle due sessions con Ken Vandermark la sua dimensione migliore ed anche quella più tradizionale, per due album “Chicago” e Milwaukee Volume” che si collocano probabilmente tra le collaborazioni migliori dei due artisti.
Peter Brotzman, tedesco, 1941, storico musicista europeo del free, va ricordato perchè a Chicago forma il Peter Brotzman Chicago Octet/Tentet, che incide tutta una serie di dischi per la locale Okkadisk.
Inoltre, essenziale è l’esperienza della Exploding Star Orchestra, retta da Rob Mazurek, trombettista di Chicago che vive in Brasile e dal batterista Chad Taylor, la cui dimensione orchestrale fa sicuramente più scalpore delle lore prove solistiche in duo e trio, richiamando l’attenzione di un gigante del free come Bill Dixon. Oltre ai soliti veterani locali, si intravedono già forti personalità nell’ambito dell’ensemble, in particolare il flicornista Corey Wilkes e il vibrafonista Jason Adasiewicz che hanno già intrapreso un’ottima carriera in proprio.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.