Relative Pitch Records, n. 2

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Michael Bisio/Matthew Shipp  -Floating Ice-
 
Della musica di Matthew Shipp me ne occupai in maniera estesa grazie ad un lungo profilo che scrissi qualche tempo fa (I procedimenti creativi di M.S.) che spaziava su tutta la produzione discografica del musicista; senza essere troppo enfatico Shipp è senza dubbio uno dei grandi pianisti contemporanei del jazz, e i complimenti/ringraziamenti che ricevetti da lui nella mia casella e-mail furono veramente graditi. Michael Bisio è invece un contrabbassista tra i più preparati in America, molto apprezzato dai colleghi e che ha militato in molti gruppi jazz dàndo il suo apporto fondamentale nelle formazioni di Joe McPhee, nel trio di Ivo Perelman e dello stesso Shipp, nei trii con David Arner e Stephen Gauci. Bisio è finalmente arrivato al disco solista recentemente nel 2010 con un auto-produzione intitolata “Travel Music“, una convincente esposizione di come il contrabbasso opportunamente percosso possa dare risultati avvincenti, artistici, che negano steccati di genere o di espressione, assestandosi in una prospettiva che ha anche molti elementi “colti” al suo interno.
Floating ice” raccoglie quindi queste eredità: esso non dà la sensazione di essere materialmente sul ghiaccio, piuttosto essere di ghiaccio nel carattere, mosso da una constatazione sensoria della realtà circostante; il piano di Shipp rompe continuamente le melodie appena abbozzate, trasformandole in oggetti sonori non identificabili, che quasi sembra riprodurre una di quelle situazioni “difficili” della vita da cui fai fatica ad uscir fuori; il dimenarsi sul pentagramma rende l’idea di una nervosa vicenda su cui ci stiamo arrampicando. Bisio sul suo strumento suscita gli stessi pensieri, è quindi ideale per accompagnare con il contrabbasso questa “fatica”: la sua rielaborazione libera (che può costituire un’appendice al suo “Travel Music”) gode sia dell’eccentricità ruminativa di Mingus e di una parte del suo linguaggio sia di espedienti “tecnici” tipici della contemporanea (nell’uso dell’arco Bisio ha sicuramente un vantaggio competitivo) che si alternano come sovrapposizioni di campo (pensate a due ciclisti in fuga che a turno decidono di tirare l’andatura). Il risultato finale è il raggiungimento di uno speciale territorio agro-dolce. (vedi in tal senso la splendida “Supernova“). Questi dischi sono di un tale conforto oggi, mossi come sono da un’ampiezza di vedute musicali, che possono certamente colpire i più sinceri amanti della musica ovunque essa si trovi, perchè possiede quel quid di inventiva che difficilmente si trova in giro.
The White Spot  -Way out northwest-
Uno dei personaggi più creativi del jazz è sicuramente il sassofonista inglese John Butcher: musicalmente in scena con un pò di ritardo rispetto all’età anagrafica, Butcher ha cercato di impiegare le sue pregresse conoscenze accademiche per portare nell’improvvisazione libera una ventata di novità consistente nell’approfondimento di concetti che una generazione di musicisti prima di lui aveva sollevato (Evan Parker, Derek Bailey, Keith Rowe, etc.): gli esperimenti sulle gamme estreme dei sassofoni (toni alti e “lowercase”) quelli creati attraverso i multifonici, lo studio delle “schegge” di suono, l’opera di riadattamento svolta nelle sovraincisioni, ne fanno un personaggio storico. Nella speranza di poter scrivere al più presto possibile un suo profilo, quello che mi preme sottolineare è che negli ultimi anni l’attività (come sempre intensa e con una miriade di registrazioni effettuate) sia abbastanza ferma dal punto di vista dell’innovazione, mentre è evidente una sovraesposizione della materia collaborativa, attuata in duo, trio o con formazioni non molto allargate, dove ricercare interazione tra i musicisti. Forse pur essendo un pò trascurata questa sua dimensione sia dalla critica che dagli appassionati, Butcher va evidenziato anche per essa, poichè ha dimostrato di saper portare la stessa ricerca anche in quegli àmbiti. Questa registrazione radiofonica effettuata poco prima della sua tourneè in Canada con il contrabbassista Torsten Muller e il batterista Dylan Van der Schyff, è la piena dimostrazione delle affermazioni poc’anzi fatte ed è facilmente un campionario del talento dei singoli musicisti che lavorano in perfetta simbiosi.
Urs Leimgruber/Roger Turner  -The Pancake Tour-
Leggendo le poche recensioni avute sul web sembra che i recensori siano divisi sulla validità artistica di questo concerto che il sassofonista Urs Leimgruber e il percussionista Roger Turner fecero al Loft di Colonia nell’ottobre del 2011: quello che viene preso come argomento decisivo è l’interazione dei due musicisti che a seconda delle opinioni può sembrare carente o invece molto presente. In realtà, come spesso accade, si dimentica che la valutazione critica non può prescindere da un elemento fondamentale, e che si sostanzia nel fatto che tali operazioni, rientranti nel difficoltoso percorso della comprensione dell’improvvisazione libera, vanno anche analizzate dal punto di vista dei processi immaginativi che suscitano: se la musica non è in grado di fornire una situazione, una rappresentazione dell’animo, una creazione di immagini da percepire difficilmente essa sarà nei vostri ascolti del futuro. E’ quanto succede in “The Pancake Tour“, dove questi elementi fanno fatica a farsi presente nonostante una famelica e ricercata iniezione di suoni striduli e frammentati.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.