La critica musicale

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C’è un esaltante compromesso tra il coraggio, la voglia di documentazione di un settore e quello che potrebbe essere quasi un tentativo di avanscoperta per una futuristica linea della professione. Qui si parla del nuovo libro di Federico Capitoni sulla “critica musicale”: in un momento in cui tutti ne decretano ufficialmente la scomparsa, la kermesse informativa di Capitoni sembra decisamente un tuffo in mare controcorrente. Diviso in 5 capitoli discorsivi, “La critica musicale” (Carocci Editore) è un vademecum di informazioni ed intenzioni; Capitoni tende a rivalutare un mestiere che allo stato attuale non affascina tanto il pubblico che gli operatori, mettendo in evidenza la sua utilità, le differenze con i musicologi, la situazione che si è delineata in Italia attraverso la lente dei giornali, internet o blogs specifici, nonché il ruolo del critico e/o recensore in una rinnovata ottica che ne cambia le carte in tavola.
Il sogno di avere tra le mani una professione bella ed importante si scontra oggi con degli invalicabili muri soffocanti, creati da una non accorta spirale intrapresa dalla critica negli ultimi quarant’anni: specie nella critica rock, dovendo soddisfare i gusti deteriorati dei lettori, i critici si sono adeguati all’olocausto, acclarando il degrado musicale e filosofico che è sotto gli occhi di tutti; d’altra parte c’è un’altra considerazione ineludibile che è intervenuta nella critica avveduta, ossia quella della divaricazione tra il sentimento tradizionale imposto nella musica e una serie di approfondimenti accademici che hanno spostato completamente l’asse delle valutazioni del critico, imponendogli di compiere delle valutazioni di particolare difficoltà. In realtà, la critica si è dispersi in mille rivoli non appena si sono create le specializzazioni settoriali e si è creata quella popolare frattura tra accademici stessi in merito alle prospettive della musica, un elemento che ha contribuito a confondere ancor più le acque e a creare una lussuriosa suddivisione tra critici.
Come ben descritto nel libro, il critico dovrebbe essere prima di tutto una persona che rifiuta le barriere stilistiche (si deve occupare di fornire giudizi su qualsiasi genere musicale), trovando la sua ragion d’essere nelle maglie specifiche delle discipline di un musicologo, di un filosofo o di un giornalista; egli deve intervenire su una materia variabile, ampia, centrata sull’estetica musicale e sui collegamenti con le discipline circostanti. E’ un’attività impegnativa che non trova oggi il favore nè dei musicologi né dei filosofi, in un periodo in cui anch’essi sono in difficoltà: si capisce perché la stragrande maggioranza di essi sia stata poco coinvolta da esperienze giornalistiche, preferendo la maggior tranquillità delle sedi accademiche, esposti com’erano ad un fuoco indiscriminato e ad un’incerta realizzazione economica. La verità è che il critico (che Capitoni ritiene dovrebbe cambiar anche nome, proponendosi come un “melosofo”) è qualcosa che non è carne né pesce, la sua autorità deriva da giudizi condivisi sempre in parte e percepiti come soggettivi. Ma senza dubbio, come fatto notare, esistono anche aree di giudizio oggettivabili, in presenza delle quali sia possibile far convergere le sensazioni ricavate dall’ascolto, a patto che la formazione e l’esperienza sia stata fatta bene e vengano assecondate le tendenze intelligenti della musica. L’oggetto dell’attività di un critico deve essere rivolto continuamente all’equilibrio valutativo, lavorando sulla storia, sugli indirizzi dei contenuti emotivi, sull’accoglimento di un parallelo di varia natura con le altre arti. Al riguardo i campi d’indagine sono vasti ed interessanti e perciò giustamente Capitoni ritiene che non tutti possano essere melosofi, sebbene il riconoscimento di queste qualità non si capisce chi lo debba fare.
Molto spazio viene dedicato all’informazione musicale rappresentativa dei principali mezzi di comunicazione: prescindendo dalla geografia politica della critica nel resto del mondo, Capitoni passa in rassegna molte delle manifestazioni musicali profuse in Italia, i principali giornali che di fatto hanno tenuto banco nell’informazione musicale, l’attuale risicato poker di attori restanti nel circuito: l’autore evidenzia poco la parte “resistente” dell’informativa che si trova non solo nelle preziose istituzioni preposte (etichette discografiche, direzione di manifestazioni all’uopo) ma anche sui giornali, ormai dirottati solo sul web, che propongono valide soluzioni del tutto sconosciute per la massa, quelle testate di “nicchia” che sono anche il frutto di una specializzazione della musica non auspicata da Capitoni: nonostante sia sorprendente un’acida replica effettuata verso il pensiero valutativo del critico rock Bertoncelli, nulla viene detto in quei campi in cui la qualità della musica e le prospettive di un sua proficua realizzazione critica si possono compiere: siamo proprio in pochi ad ascoltare l’improvvisazione non idiomatica o la musica classica contemporanea? Inoltre, siamo sicuri che liberare troppa semplicità nel critico musicale sia un buon veicolo per la comunicazione ed eviti i rischi di un condizionamento? Siamo sicuri che le interviste, che piacciono tanti ai lettori inconsapevoli, provochino un’effettiva espansione della coscienza critica e non siano solo un modo per cronicizzare un’artista?
Le questioni intraprese da Capitoni nel suo saggio permettono comunque di individuare un futuro e al tempo stesso rivelano un nobile e celato tentativo di proselitismo, una sorta di amo gettato in mare per vedere se l’argomento suscita interesse comune: se nell’ambito giornalistico le realtà critiche create con mezzi specifici sono ancora embrionali (si pensi alla nascita dei blogs interni al giornale letto in rete, dove non c’è tutta la problematica relativa allo spazio e alla pubblicità), i freelance hanno da tempo aperto dei blogs strutturati in funzione degli argomenti da porre che, in alcuni casi, non sono solo un pozzo di conoscenze settoriali, ma anche un modo per sopperire alla mancanza della critica buona. La soluzione del ritorno ad una critica “realista” è auspicabile, ma a patto che gli organi che ruotano intorno alla musica ne facciano comprendere il vero valore: è impossibile ripristinare una dignità del critico/recensore se non c’è un sistema che ne riconosca le qualità e sia consapevole che è necessario un salario per l’attività svolta. Allo stato attuale i conti si fanno purtroppo solo con il consenso e pregiudicano un qualsiasi sviluppo della professione, che qualora organizzata anche imprenditorialmente avrebbe solo il supporto della pubblicità (la quale certamente non si interessa certamente dell’eticità e del valore della testata); caso contrario c’è solo l’apporto economico dei lettori come strada alternativa (peraltro compresso dalla gratuità della maggior parte dei servizi intellettuali offerti sul web).
Inoltre è sicuramente condivisibile l’aggiornamento del critico ai tempi odierni mediante un superamento delle attuali tecniche per pubblicare un giudizio (oggi tipicamente la scrittura) per accostarsi alla problematica della segnalazione video, del grafico, del carattere letterario dello scritto o della multimedialità, tutti temi che Capitoni sviluppa con ottima fantasia visionaria.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.