Michel Pilz

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La storia ci dice che prima che cominciasse la bella favola dell’improvvisazione europea negli anni settanta erano pochissimi i clarinettisti dedicati esclusivamente al registro basso e la maggior parte di loro considerava il clarinetto basso come uno strumento secondario. Le cose cambiarono proprio in quegli anni grazie ad un flusso di musicisti dalle aderenze francofone che impostò le proprie tematiche concentrandosi sul clarinetto basso: gente come Michel Portal, Gianluigi Trovesi, Louis Sclavis o Michel Pilz dal Lussemburgo fanno parte di una riconosciuta giuntura della musica improvvisata che proclama la specializzazione del clarinetto basso. La scomparsa di Pilz estromette perciò un incredibile promotore di uno strumento della famiglia dei clarinetti che incontrò crescenti favori dei musicisti per via della timbrica e delle possibilità aggiuntive che ne potevano derivare: i contrasti sui registri, la ricerca degli overtoni e la circolarità espressiva. Pilz era un fan di Dolphy, capace di far ascoltare il suo clarinetto basso nelle “orge” della Globe Unity Orchestra e nel jazz sorprendente del Manfred Schoof Quintet (1), qualche volta abbinandolo con il sax baritono per evidenti analogie sonore (è quanto succederà in un sestetto di Alexander Von Schlippenbach); a differenza degli altri specialisti del basso, Pilz era probabilmente il clarinettista più capace di sollevare mondi sonori sospesi tra abrasioni e calore dei toni e sebbene non abbiamo una registrazione solista ufficiale in cui poter apprezzare un’organica realizzazione della sua espressione, ci sono un paio di albums del primo periodo di Pilz che possono costituire dei surrogati di questo mio pensiero, prima che una “normalizzazione” dello stile si impadronisse di lui (tra jazz e free jazz): lo splendido Carpathes del 1975 con Paul Lovens e Peter Kowald che, dall’alto della coerenza che mostra, potrebbe considerarsi un punto di estremo richiamo per l’intero sviluppo contemporaneo del clarinetto basso, senza distinzione di genere (jazz, free jazz, free improvisation e composizione classica, soprattutto quella del ventunesimo secolo); e poi, in un trio del 1978, con Buschi Niebergall al contrabbasso e Uwe Schmitt alla batteria, che registrò un album dal titolo Celeste, quasi immediatamente uscito fuori catalogo e mai ristampato.
Pilz ha suonato sempre molto bene, è un modello, ineccepibile dal lato tecnico ma anche anacronistico per molta critica nei contesti; è difficile però dover ammettere che gli acuti di un clarinettista basso così bravo e perspicace non fossero più da tempo come quelli del periodo d’oro in Germania.
RIP Michel Pilz.

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(1) sulla rete si trovano alcuni eccellenti solo di Pilz durante un concerto con il Manfred Schoof Quintet del 1977 (vedi qui e qui).