Pluralità di spunti creativi nell’improvvisazione

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4 nuove recensioni per Setola di Maiale: il trio Ask ‘em Y, Enzo Rocco, Stefano Grasso e il trio di argentini Pellicci/Endrek/Díaz, Johnny Lapio e l’Arcote Project.

Nato nel 2019, il trio Ask ‘em Y è uno di quei trii d’improvvisazione che non ti aspetti. La singolarità sta sia nella combinazione strumentale che negli obiettivi della libera improvvisazione del trio: da una parte infatti propone un’inusuale musica che mette in relazione guzheng (suonato da Yu Miao) e un tris di strumenti della famiglia dei fiati, nello specifico flauto e gemshorn (suonato da Angelina Ertel) e trombone (suonato da Stefan Krist); dall’altra, la musica è il risultato di un percorso di ricerca musicale che cerca punti di contatto sensitivi dell’improvvisazione libera con semi di antropologia culturale.
Il CD In Germany ci propone le esibizioni del trio durante il tour europeo dello scorso anno, nelle sedi di Berlino e Monaco, mostrandoci l’ambiziosa curatela devoluta all’improvvisazione: un paio di strumenti ci riportano indietro nel tempo (guzheng e gemshorn), il trombone è l’archetipo dell’improvvisazione radicale europea, suonato in maniera estensiva e senza regole, mentre l’umore di tutta la performance è impostato verso un subliminale lirismo di rappresentazione della musica, dove i musicisti si aiutano stropicciando i loro interventi con le tecniche non convenzionali, con le insufflazioni, con la voce a supporto dei suoni, con l’espressione poetica (succede nel finale con la recitazione di Blue Balloon di Bulat Okudzhava). Il contenuto antropologico proviene dagli studi di Krist, musicista e scienziato che in Austria non trovava lavori adeguati alla sua professionalità e che nella parte mongola della Cina si è affermato come assistente universitario e studioso della musica delle etnie di Siberia e Alaska. Ciò che convince di In Germany è la prova di una sorta di inconscio relazionale della musica, di un’espressione che non ha prescrizioni né limiti e che sta alla base di una possibile comunanza della comunicazione musicale: i legami tra strumenti, inquinamenti del canto, free improvisation, derivazioni ed espansioni logiche delle culture occidentali e delle estremità dell’Oriente, favoriscono alla fine somiglianze non preventivabili tra metodi e consuetudini musicali all’apparenza differenti ma che custodiscono il segreto di una vicinanza molto più stretta di quanto si pensi. Anzi, possono stare insieme. Questo è un CD che piacerebbe certamente a Tim Hodgkinson.

Non è assolutamente infrequente per i musicisti raccogliere interventi, spunti creativi o ceppi estemporanei e mutevoli del proprio modo di suonare in un’area dalla specifica destinazione. La legatura è mentale, scatta in tutte le ore del giorno e per qualsiasi attività da compiere ed è un processo che serve per riflettere sulle traiettorie della propria musica. Per il chitarrista Enzo Rocco le qualità dell’intelligenza umana sono molto più importanti delle tendenze e delle mode passeggere della musica e perciò la saldatura di piccoli pezzi concepiti o suonati in un arco di tempo ultraventennale è un modo per ritrovarsi, mettere paletti su proiezioni musicali, documentare uno stile che è anche un’impalcatura sociale senza compromessi. Per Scraps [sottonotato (very) old and (almost) new solo guitar pieces] Rocco ci porta nel suo intimo creativo con alcuni approcci pensati durante la stasi provocata dal virus (Strings Study, Thumbs, Mixolydian Study, Hanging Harmonics), abbozzi di un discorso che può validamente ampliarsi; fa esercizio di ‘sovraincisione’ in Hi-Lo Inventio per creare irregolare contrappunto; ci conduce alle esperienze inglesi e latino americane con pezzi tagliati da concerti che mostrano tutto il suo potenziale e la sua soddisfazione nell’ottenere musicisti e palchi prestigiosi (Vortex, Londra, Russell, Coxhill, Mendoza, etc.). In Scraps dovete un pò dimenticare l’esuberanza espressiva che Rocco ha enfatizzato negli anni della collaborazione con Actis Dato e accettare, in pari grado qualitativo, un chitarrista non convenzionale riservato e consapevole dell’esistenza di una progettualità che si coglie nel tempo, all’interno di quell’area di retorica generalizzata del jazz e della free improvisation.

Todes Les Que Sembrian è una performance improvvisativa che documenta la chiusura della residenza del batterista Stefano Grasso all’Istituto Italiano di Cultura di Córdoba, in Argentina, nell’estate del 2024. Insieme ad un trio di musicisti-improvvisatori argentini (Constanza Pellicci alla voce, Maximo Endrek al contrabbasso e Pablo Diaz alle percussioni), Grasso si è unito con il suo drum set e un vibrafono, per un concerto di circa 40 minuti improntato verso una congiuntura concentrica della musica: il contributo singolo che si proietta nello ‘spazio’ musicale e si somma a quello degli altri in una maniera simile ai seminatori nei campi. Francesca Naibo ha scritto delle centratissime liner notes e non c’è dubbio che Pellicci canta nostalgica o lamentosa, Endrek forma delle aree di punteggiatura autonoma con il suo contrabbasso, mentre Diaz e Grasso contribuiscono ad un sostegno quasi tellurico della base ritmica, con Grasso che sfrutta timbro e linee melodiche del vibrafono in funzione tensiva.
In Todes Les Que Sembrian si sviluppa perciò un percorso astratto ma con un proprio linguaggio che probabilmente parte dalla volontà di Grasso di acquisire conoscenze su elementi di transito dell’improvvisazione con l’essenza dello stile del teatro popolare sudamericano che ha già di per sé forti elementi di sperimentazione, è un teatro del ‘confronto’ e della ‘resilienza’ culturale. Qui vengono in contatto fragilità, senso del mistero, apprezzamento dell’enfasi popolare, qualità immerse in un significativo reworking dell’improvvisazione, qualcosa che in Italia, per esempio, è diventata materia di appropriazione dei Cianca e dei musicisti che ruotano intorno alle idee politiche di Colonna.

Per Aurora, nuovo CD del trombettista Johnny Lapio assieme all’Arcote Project, è sintomatica la psicosi cittadina. Lapio è di Torino ed è musicista sensibile alle vicende della sua città. Aurora è infatti un ampio quartiere di Torino in cui Lapio ha riscontrato una vivibilità a due facce, una divisione del territorio che prende origine dalle profonde ristrutturazioni subite dal tessuto industriale e commerciale in quel quartiere negli anni; il fiume Dora Riparia divide il quartiere Aurora in una parte elitaria con l’effervescenza dell’università, di sedi di importanti aziende e istituzioni di musei ed archivi storici a sostegno culturale, e in un’altra parte che è invece in degrado, con molti immigrati stranieri e problemi di delinquenza, con l’amministrazione comunale in difficoltà per una gestione sociale e nondimeno per un’assoluta riqualificazione dell’area. Lapio ha immaginato di inoltrarsi per queste strade, sia da una parte che dall’altra, alla ricerca di ispirazione musicale, che arriva nelle forme di un contemporary jazz efficacissimo che si spande con criterio in aree creative personalizzate  (un gran lavoro al piano di Lino Mei, ai sax di Partipilo e naturalmente di Lapio alla tromba). La conduction di Lapio è finalizzata ad una sorta di mappatura mentale della musica, ossia immaginare in sei movimenti musicali situazioni che possano trasmettere le sensazioni del quartiere, una sorta di free jazz multisensoriale a cui l’ascoltatore può associare allegria, brividi, frizioni e naturalmente gli assoli e le espansioni di Lapio e dell’Arcote. Un’operazione non semplice da fare, ma che Lapio valorizza intuendo che un legame subliminale si può fondare non appena si incastrano la conoscenza delle vicende del quartiere e la musica condotta in un certo modo.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He studied music, he wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.