Brad Mehldau. Highway Rider

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Brad Mehldau costituisce negli anni novanta, uno dei più originali continuatori dell’arte del trio, che nel jazz significa pianoforte incrociato con contrabbasso e batteria, nobile arte inventata dal grande Bill Evans negli sessanta. Nei suoi primi album, raccolti in volumi, si dedica alla riproposizione personale di vecchi e nuovi temi che raccolgono questa eredità: tra tutti spicca il Vol. 3 che presenta al suo interno l’esaltazione delle caratteristiche musicali del musicista: incedere lento, progressivo, in bilico tra be-bop ed una sorta di post-impressionismo classico; fa parlare di lui il personale metodo di suonare con le due mani che suonano in maniera indipendente l’una dall’altra, usando metri asimmetrici (ho avuto la fortuna di vederlo in concerto e sono rimasto colpito dal modo in cui suona). Personaggio socievole, sempre in giro per il mondo a suonare, amante delle collaborazioni, Mehldau non si è solo limitato a rinverdire il passato, ma ad un certo punto della carriera, ha cercato anche di approfondire le sue radici di musicista e di metterle a disposizione delle dinamiche musicali moderne, che certamente coinvolgevano anche lui. E’ da qui che è partito il periodo migliore dell’artista, con alcuni album importanti: “Elegiac Cycle”, “Places” e “Day is done” maturano la componente “classica” del musicista, in una ricerca di nuove sensazioni musicali, che tentano di attingere anche a fonti popolari (vedi la riproposizione di parecchi brani dei Beatles) dando vita ad un linguaggio “be-bop” moderno, con spunti nel free: ne è testimone “Largo”, lavoro diverso dal suo standard, aperto a nuovi strumenti e da molti ritenuto il suo capolavoro, che utilizza anche effetti di elettronica.
“Highway Rider” è il disco del pianista americano più vicino al concetto di “composizione totale”: il suo è un linguaggio riconoscibile, che parte da poche note “saltellate” e poi si arricchisce dell’apporto dei suoi musicisti (con Joshua Redman che sfodera alcuni notevoli assoli al sax) e dell’orchestra condotta da Don Coleman, in una combinazione di suoni che mette assieme duecento anni di storia musicale: dai compositori romantici alla classica tardo-impressionista, dal be-bop anni quaranta a Bill Evans e John Coltrane, fino ai Beatles: il risultato è di elevato valore e soprattutto “originale”; ascoltando questo disco, forse come non mai, si avverte la statura del musicista e la sua immediata riconoscibilità musicale.
Discografia consigliata:

The Art of the Trio III — Songs (Warner, 1998)

Elegiac Cycle (Warner, 1999)
Places (Warner, 2000)
The Art of the Trio V — Progression (Warner, 2001)
Largo (Warner, 2002)
Anything Goes (Warner, 2004)
Day is Done (Nonesuch, 2005)

Collaborazioni principali:

Mood Swing (1994, Warner) /Timeless Tales (for Changing Times) (1998, Warner) Joshua Redman
The Water Is Wide (2000, ECM) /Hyperion With Higgins (2001, ECM) Charles Lloyd
Alegria (2003, Verve) Wayne Shorter
Deep Song (2005, Verve) Kurt Rosenwinkel
Metheny – Mehldau (2006) Brad Mehldau, Pat Metheny

Moving In (1996, Concord) Chris Potter

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.