Un batterista dall’impianto sonico: Tatsuya Nakatani

0
450
Quinn Dombrowski It's not a band without a gong, https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/, no change was made
Le ultime grandi scoperte dei batteristi jazz furono quelle di esplorare i confini ritmici dello strumento entro le modalità tecniche conosciute: uno degli ultimi ad affrontare lo strumento tenendo ben presente la provenienza è stato il batterista Milford Graves, per anni considerato come la frontiera più estesa della batteria in àmbito jazz: finalmente l’impostazione non era solo quelle di suonare free in un determinato schema e contesto musicale, ma anche quello di esplorare le possibilità fisiche di tamburi, grancassa, piatti, etc. Esperimenti simili ma costruiti in maniera diametralmente opposta erano anche quelli di Pierre Favre e Fredy Studer in Europa i quali in un celeberrimo album per la Ecm nel 1984 (“Singing drums”) dimostravano come fosse possibile sfruttare le risonanze naturali. In quell’album si affermava anche la teoria di Paul Motian che dava il suo impulso al trattamento “decorativo” della batteria, evidenziando i suoni, le dinamiche e i ricami percussionistici che tendevano al raggiungimento di una nuova confidenzialità delle risorse ritmiche, ma comunque sempre mai allontanandosi dalla coerenza e dalle coordinate di un jazz di stampo tradizionale; quanto poi ai rapporti con l’Oriente Andrea Centazzo era espressione di un raccordo con l’Occidente imprescindibile.
Il Giappone, in virtù dei suoi requisiti socio-culturali ha da sempre espresso particolare interesse per l’aspetto ritmico-percussivo (si pensi a Masahiko Togashi ad esempio, vedi mio post prec.), ma in tempo di cambiamenti globali, un giapponese batterista che, prescindendo dai generi rincorsi in maniera casuale sembra voler approfondire senza compromessi le peculiarità strumentali dello strumento, è il giapponese Tatsuya Nakatani, un musicista già attivo da circa un decennio e già in possesso di una serie di lavori in collaborazione con nomi importanti del jazz, specie quello più spinto sul versante sperimentale (Zorn, Chadbourne e la scena di New York, anche odierna): accanto ad una produzione chiaramente impostata su un adeguamento allo spirito della batteria free jazz in funzione di sostegno dei suoi partners, l’artista giapponese originario di Osaka ha parallelamente costruito un percorso addentrato nell’innovazione che viene pienamente esplicato negli episodi in solitudine (i progressi ottenuti cominciano a trovare in “Abiogenesis” la loro migliore esposizione). Nakatani partendo dai fondamentali componenti della batteria espande i suoi orizzonti relegando quasi totalmente la ritmicità tradizionale, per raggiungere paesaggi sonici che hanno a vedere con tutte quelle operazioni di avanguardia tese a ricavare nuovi suoni e dinamiche dagli strumenti posseduti: ci troviamo di fronte ad un’operazione unica che si basa su una serie di tecniche estese: si va dai soffi allo strofinamento, dall’uso di personali aggeggi metallici allo scorrere di piatti e gongs realizzati attraverso l’uso di un arco. Il risultato finale è meditativo ed industriale ma allo stesso ultramoderno, poichè Nakatani dà corpo ad una serie di suoni “nascosti” dentro gli elementi che mai avremmo potuto sentire in condizioni di normalità. Non secondario, inoltre, risulta l’elemento folk tradizionale che viene distillato quasi naturalmente nell’àmbito del progetto sonoro complessivo e che si rende evidente nell’interazione compiuta con il flautista tradizionale giapponese, Kaoru Watanabe in “Michiyuki”; entrambi contribuiscono a quel mix di tradizioni che ha per base la sperimentazione e l’improvvisazione anche ortodossa (perchè riferita al contemporaneo).

Attualmente, Nakatani è impegnato nel suo progetto più ambizioso, cioè quello della creazione di una Gong Orchestra, in cui più suonatori di gong intervengono nella sua tradizionale struttura sonora per accrescere lo stato ipnotico della composizione, la quale ne esce rafforzata in dimensioni e intensità: si assiste ad una sorta di “massimalismo” alla Chatam o alla Branca, in cui il minimalismo della struttura di base è a servizio degli armonici sviluppati dall’uso contemporaneo di più strumenti dello stesso tipo. Nakatani sta offrendo queste sue scoperte in giro per l’America invitando colleghi più o meno illustri ad aiutarlo in questa sensitiva esperienza che si nutre anche dei silenzi e delle pause armoniche tipiche della contemporaneità…. in attesa che essa venga registrata ufficialmente. (attualmente è possibile trovare questa sua perfomance su youtube o a questo indirizzo http://www.kennedy-center.org/explorer/artists/?entity_id=82712&source_type=B, mentre per una sua accettabile discografia si può consultare il sito di discogs). Nel progetto Gong Orchestra il batterista riesce a fornire una versione affascinante delle sue scoperte musicali, una dimensione che viene notevolmente soffocata nei lavori in gruppo più esposti alla aridità di un certo free jazz contemporaneo.

N.B. Un grazie a Daniel Barbiero per avermi fornito l’indirizzo del video in cui egli stesso è parte dell’Orchestra di Nakatani.

Articolo precedenteUna sera all’Accademia Musicale americana a Roma
Articolo successivoKenny Garrett: Seeds from the Underground
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.