Corno d’Africa ed annessi

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Jean Rebiffé - Own work, CC BY 4.0, no change was made
Una delle zone più trascurate dell’Africa è quella che si trova a ridosso con il Medio Oriente: trattasi di quella parte della regione che secondo gli etnomusicologi ha caratteristiche abbastanza omogenee e si estende come territorio in tutti quei paesi che tradizionalmente formano il corno d’Africa (tutta la zona che comprende uno dei maggiori poli della povertà nel mondo e quindi Etiopia, Eritrea e Somalia) nonchè alcuni stati annessi che ne sono attratti musicalmente (quindi parliamo della musica di Nubia a sud dell’Egitto, e dell’intero Sudan). In queste terre dove vivono migliaia di etnie (molte ancora tribali), la musica ha attraversato dei veri e propri periodi di repressione politica ai quali comunque ha resistito: la trattazione nei paesi può essere comune in quanto questa è la parte dell’Africa che più risente dei riflessi musicali provenienti dall’est ma che data la vicinanza comunque alle regioni “percussive” del continente ha sviluppato un sistema musicale di mediazione. Discograficamente molto è stato fatto specie in Ethiopia, ma resta ancora molto patrimonio artistico totalmente sconosciuto perchè mai registrato: negli ultimi trent’anni grazie all’operato di alcuni musicologi, uomini del territorio ben radicati nelle tendenze (Francis Falceto ha costruito tutta la serie degli Ethiopiques e delle Rough to Guide) e alcuni apertissimi musicisti dell’occidente (Peter Gabriel, Bill Laswell, etc.) la musica cosiddetta del “rinnovamento” è stata scandagliata nei limiti del possibile con la proposizione di materiale tradizionale (a vario titolo: canti, cerimonie, riti, fonti politiche, etc.) e l’avvento delle nuove musicalità (sviluppatosi in concomitanza con la libertà politica) che costituivano le prime commistioni di genere con le istanze occidentali. La situazione oggi è piuttosto variegata e ci vorrebbe forse un intero libro per descriverla, ma la sintesi va nel senso di una inevitabile divaricazione:  i musicisti locali da una parte sembrano voler essere custodi delle loro tradizioni popolari, che, anche in un processo di contaminazione musicale devono risultare comunque prevalenti, e dall’altra quelli che hanno abbracciato una quasi piena occidentalità (dapprima espressa tramite riferimento alla canzone soul o al ritmo funk nei sessanta/settanta e poi arrivando ad una integrazione completa con più ordinari canoni rap, hip hop o dub riferiti alle tendenze oltreoceano).
Sui caratteri musicali non mi soffermo (il tema è complesso, ma in questo le enciclopedie multimediali possono venire in vostro aiuto), quello che mi preme sottolineare è l’unicità e l’odierno valore di molta parte delle tradizioni proposte e le principali innovazioni che forse non passano solo da un riavvicinamento al pop di questa parte africana, il cosiddetto afro-pop. Se i canti polifonici delle tribù sono spesso un tesoro inestimabile da conservare, quando si passa alle evoluzioni del secolo passato è necessario cercare il sound di quelle terre e la voce del testimone popolare a cui la cultura mediorientale ci ha abituato: fu questo senza dubbio il motivo per cui personaggi come il nubiano Hamza El Din o il sudanese Abdel Gadir Salim sono stati ricercati suonatori (ne erano ammaliati i Grateful Dead) che incarnavano quell’affascinante ed inquietante senso di smarrimento tipico di quelle terre. Ma anche le sovrapposizioni con la musica occidentale colta sono state molto rispettose delle comunità: quanto al jazz, grazie all’etiopico Mulate Astatske e agli elementi dell’Either orchestra si può affermare che si è assistito all’ennesimo ritorno in patria delle sonorità afro-americane: questo esempio di jazz e melodia tradizionale etiope è ancora in fase di sviluppo e dimostra come il jazz etnico può essere considerato come una via alternativa valida a quello tradizionale, dove però il connubio deve attingere ai migliori elementi delle due parti. Mulate, negli ultimi episodi, sembra voler allargare i confini del suo ethio-jazz anche ad arrangiamenti che coinvolgono l’elettronica (nella collaborazione con gli Heliocentrics, che ne costituisce l’attuale confine). Quanto ai rapporti con la musica colta, oltre alle incursioni a doppio senso di Hamza El Din, doppio senso perchè qui si parla di musica classica proveniente dall’Oriente e musica classica occidentale (il Kronos Quartet rifece in una versione altrettanto trascendentale del suo disco più famoso “Escalay: the water will”), vi sono da considerare le intersezioni di alcuni capitoli della serie “Ethiopiques” dedicati alla musica della regione, che mettono in mostra alcuni veri talenti nascosti: direi imperdibili sono i volumi dedicati a Alemu Aga, un esempio unico di voce felpata con arpa tradizionale, o la religiosa Emahoy Tsegue-Mariam Gebrou, una pianista romantica reclusa che sembra uscita da un viaggio di Debussy in Etiopia.
Per quanto concerne invece le “tendenze” moderne, ossia quelle legate ad una commistione di generi più larga, figlia di quel bing bang scoccato con “The last temptation of Christ – Passion” di Peter Gabriel, è impossibile non rimarcare il valore di cantanti/compositori come l’etiopica Ejigayehu Shibabaw detta anche Gigi (che ha sicuramente beneficiato del matrimonio con Bill Laswell che gli ha conferito, grazie anche ad un forte gruppo di consensi e musicisti di rango internazionali, un sound che è avanzato e tradizionale allo stesso tempo) , la sudanese Rasha (con ancora un buon rapporto con le due tradizioni orientale ed africana), la somala Muryam Marsal con i Waaberi (con un allargamento delle sonorità ricomprendenti elementi di provenienza cinese e indiana).
Discografia consigliata:
(1998) Ethiopiques Volume 2: Tètchawèt! Urban Azmaris of the 90s, various artists

(1998) Ethiopiques Volume 4: Ethio Jazz & Musique Instrumentale, 1969–1974, Mulatu Astatke

(1999) Ethiopiques Volume 5: Tigrigna Music, various artists

(2002) Ethiopiques Volume 11: The Harp of King David, Alemu Aga
(2005) Ethiopiques Volume 20: Live in Addis, Either/Orchestra with Mulatu Astatke, Getachew Mekurya, Tsedenia G. Markos, Bahta Hewet, Michael Belayneh
(2006) Ethiopiques Volume 21: Ethiopia Song, Emahoy Tsegue-Mariam Gebrou
(2007) Ethiopiques Volume 23: Orchestra Ethiopia
Various Artist, The Rough guide to the music of Sudan, Wordl Music Network
Abdel Gadir Salim, Le Blues de Khartoum, Institute du Monde Afr., 1999/Nujum Al-Lail, Globe Style 2005
Hamza El din, Music of Nubia, Vanguard 1964/ Escalay: The Water Wheel, Nonesuch 1971 (anche nella versione del ’92 del Kronos Quartet, Nonesuch)
Ejkayehu Gigi Shibabaw, Gigi, Palm 2001
Rasha, Sudaniyat, Nuba Negra 1997
Muryam Marsal + Waaberi, New Dawn, Real World 1998

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.