Julia Hulsmann quartet: In Full View

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Fonte Opera propria Autore Elisabeth S. Meyer-Lassahn, Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported, no change was made
Uno degli aspetti dominanti del pianismo impressionistico era quello di porre degli accenti su un grappolo di note suonate in scale esatonali che dovevano evocare il senso di smarrimento di una società, ma che erano allo stesso tempo anche testimoni di un mondo fantastico ed immaginario che si apriva davanti agli occhi attraverso la musica; inutile sottolineare come queste beatitudini musicali abbiano influenzato gran parte della musica nel suo sviluppo storico, e si sia fatta sentire nel jazz, dàndo luogo ad un vero e proprio movimento sub-articolato di musicisti che se ne è impossessato per costruire armonie delicate e paesaggi da guardare in chiaroscuro. Il terzo episodio discografico della pianista tedesca Julia Hulsmann utilizza il quartetto per inquadrare questo concetto: in “In full view” siamo dalle parti dello storico quartetto di Keith Jarrett di “Gnu High”, dove Julia imbastisce le sue tenui esposizioni con l’evidente intento di dar comprimarietà alla tromba/filicorno di Tom Arthurs che in questo caso riveste la parte di Kenny Wheeler; ma non è un’operazione di plagio, poichè la Hulsmann presenta uno stile diverso dal famoso americano, forse più spoglio in soluzioni, ma dotato proprio della sapienza nel porre quegli accenti di cui si parlava prima, impegnato a scandire con pochi accordi le diapositive di una trama sonora e a creare la colorazione delle “nubi”; l’impostazione del dialogo della pianista con Arthurs è molto empatica e tesa al raggiungimento di un adeguato livello di “nostalgia”, ben coadiavuti dalla sezione ritmica di Marc Muellbauer al cb e Heinrich Kobberling alla bt (anch’essi autori di alcuni brani) che accompagnano di regola la Hulsmann nella classica formazione in trio (vedi le precedenti prove discografiche “Imprint” e “The end of a summer“). “In full view” non solo è raffinato e calibrato nella giusta quantità di liricità da condividere negli alterni moods dei brani, ma è anche un esercizio di candore che è difficile trovare in giro oggi a questi livelli: vi proietta indietro con il pensiero ma è attualissimo, come qualcosa che è sempre pronta per essere mostrata agli ospiti come carta vincente nei momenti ambigui; non ci sono mosse sbagliate, sbavature, divagazioni senza significato,  è soprattutto una formula che premia il risultato di insieme e che fa pensare che se fosse stato pubblicato negli anni vincenti del jazz dei settanta sarebbe stato inevitabilmente consacrato come indispensabile. E’ quindi solo nell’ingordigia temporale che “In full view” può sacrificare i suoi valori che rispetto alle precedenti prove discografiche sembrano segnalare un crescendo nella volontà di effettuare riferimenti extrajazzistici che siano in linea con la propria sensibilità artistica (si faccia caso alla riproposizione della bellissima “The water” della cantautrice canadese Feist o alla magnetica rielaborazione della folk song “Nana” di Manuel De Falla per esempio); allo stato attuale quante formazioni in trio sono in grado di fornire queste dimostrazioni di raffinatezza e candore con tanto di caratterizzazione stilistica?…. direi, forse solo il trio di Mehldau o quello di Gustavsen possono al momento condividere con il trio della Hulsmann la profonda melodica riflessione.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.