Olga Neuwirth: da Bahlamms Fest a Lost Highway

0
1325
Uno dei nodi centrali del rapporto tra musica ed immagini è stato quello di non riuscire a coprire perfettamente la diversità emotiva e percettiva che può scaturire dall’abbinamento dei due elementi, visivo e uditivo. E’ in verità un problema che sembra perdersi nel passato, quando la musica venne utilizzata per assecondare la nascita del teatro e dell’opera. Altro problema era quello della posposizione della musica in una registrazione ufficiale: essa in maniera pressochè costante non restituiva l’esperienza intrattenuta dal vivo. Con lo sviluppo del cinema e dei media dedicati, la musica ha assunto un ruolo primario solo se accostata alle rappresentazioni cinematografiche: quella lotta fatta dai compositori come Kagel, che si sforzava di trovare un equo bilanciamento dell’interesse tra scena (teatrale od operistica) e musica, veniva fatta in maniera diametralmente equivalente da tanti compositori dediti alle colonne sonore dei films: si dimostrava tuttavia che il mezzo visivo era nettamente più forte di quello uditivo: si pensi a tanta musica composta per pellicole di fantascienza. Negli ultimi venticinque anni circa di cinema aggressivo a cui abbiamo dovuto assistere, le distinzioni e gli incroci sembrano essere caduti: l’interposizione tra le varie arti rende quasi indispensabile per il compositore una preparazione che sia consona anche agli aspetti visivi, soprattutto per coloro che vogliono costruire una carriera fondata su quelle intersezioni.
Nel campo della musica contemporanea questo moderno approccio non può essere assolutamente dimenticato e l’opera svolta dalla compositrice austriaca Olga Neuwirth deve considerarsi un primo vero e riuscito tentativo di sistemare le problematiche: lo scopo è la stabilizzazione dell’opera totale, la possibilità di donare un volto immediato alla musica.
Praticamente di casa alla Kairos R., che ha reso disponibili molte delle sue registrazioni (incluso video ed altre rappresentazioni audio-visive), la Neuwirth si è imposta all’attenzione per una pluralità di elementi vincenti che si sviluppano secondo una priorità temporale frutto di un triplice ordine delle idee: queste creazioni trovano una connessione tra temi letterari, cinematografici e musicali:
1) Olga rappresenta Goethe e Baudelaire, Borroughs e i surrealisti (vedi Leonora Carrington nell’opera Bahlamms Fest), ma anche gli scrittori fantastici come Flusser e Bec (Vampyrotheone e Akroate Hadal);
2) la partitura è completamente integrata nella parte visiva: la Neuwirth è la regista della sua musica nel senso pieno della parola, perchè decide in tandem sui due aspetti: quello che in una rappresentazione cinematografica o visiva è appannaggio del regista dell’azione (il tipo di ripresa, gli zoom, le panoramiche, le luci, gli improvvisi cambiamenti dello scenario sullo sfondo) è studiato ed affrontato dalla compositrice con un’indole di compenetrazione che non ha eguali nella storia della musica recente.
3) i materiali utilizzati spaziano in tutto ciò che è disponibile: non solo Varese e Nono (i due riferimenti espliciti della compositrice austriaca), ma anche le principali diramazioni dell’avanguardia classica: il tenore strutturale del Boulez di “Explosante fixe“, le deframmentazioni di Lachenmann e molta riverenza alla cultura spettralista. Aggiungerei anche qualche elemento di improvvisazione d’avanguardia jazz. Il risultato è inevitabilmente forte nelle dinamiche, sospensivo a tratti e alla ricerca di risonanze, pieno di interruzioni brusche che devono puntellare l’idea cinematografica o teatrale, fermo restando che, date le caratteristiche umorali della contemporanea, l’ambiente sonoro è quasi sempre immerso in paesaggi incomprensibili, a volte dichiaratamente aperti allo spazio, con un carattere depressivo ricorrente ed un imminente senso dell’ignoto.
L’apporto innovativo della compositrice sta nella combinazione dei tre elementi succitati: nella composizione di “Construction in space” scritta per il film di Michael Kreihsl “The long rain“, la Neuwirth riequilibra definitivamente quel rapporto tra musica ed immagini senza più subordinazioni, donando alla musica stessa (tramite una debordante creatività di interventi sugli strumenti) una dignità finalmente definitiva. Questa soluzione vincente si riversa anche nei rapporti tra musica e teatro, dove la fluidità, l’intensità dei concetti espressi tramite le note, aiuta moltissimo a superare quella barriera biologica che esiste tra la realtà e l’ascolto disgiunto dalla partecipazione visiva: “Lost Highway“, l’adattamento operistico del film di David Lynch, esibisce un incredibile equilibrio tra le arti in gioco in cui un ruolo fondamentale è la scelta dei materiali (il soggetto letterario, l’utilizzo di appropriata live electronics e la scelta di rappresentarsi con la lingua verbale tipica degli approcci moderni e multimediali di David Moss (che partecipa alla perfomance).
Discografia consigliata (tutti Kairos):
-Clinamen Nodus/Construction in space, LSO, Boulez, Klangforum Wien, Pomarico
-Hooloomooloo, Vampyrotheone, Instrumental-Inseln aus “Bahlamms Fest”, Klangforum W., Cambreling;
-Chamber Music, N. Hodges (piano), G. Knox (viola d’amore), Arditti String Quartet
-Lost Highway, Klangforum, J. Kalitzke
-Music for films, 2 Dvd, The long rain and other audiovisual works
Articolo precedenteIl piano trio e i “New Works” di Tobias PM Schneid
Articolo successivoLala Njava e il Madagascar
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.