Figli di un Dio minore

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Scultura Monumento Frank Kafka, Praga

Eliot Cardinaux – Will McEvoy – Max Goldman, Take me by the hand of darkness, The Bodily Press

Eliot Cardinaux con il suo trio imbastisce un discorso musicale che si muove tra musica e poesia perché, come ricordava Eugenio Montale, il legame tra le due è inscindibile: “ […] se considero la poesia come un oggetto ritengo ch’essa sia nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale (che è la parola) al martellamento delle prime musiche tribali”.
L’oscurità, la mancanza di luce che si compie, è la condizione del progetto del pianista dell’Ohio. Il filosofo Giorgio Agamben ricorda nel volume Signatura Rerum che “ […] ogni pensiero che non nasconde il proprio non-detto, ma incessantemente lo riprende e lo svolge, può, eventualmente pretendere all’originalità”.
Da questa mancanza, da questa lacuna (oscurità) il pianista parte con l’aiuto del contrabbasso di McEvoy per rendere brani più aperti e liberi seguendo un approccio modale da una parte e uno armolodico che si concentra sulle melodie che perdono il loro centro tonale. Armonia e melodia si fondono in maniera da scordarsi le gerarchie. Se At the Conservatory mantiene un alone di mistero con il suo incedere da blues zoppicante, Song for Charlie, scritta dal contrabbassista,  fa sentire l’approccio armolodico  consentendo la massima libertà a Cardinaux. La musica e la parola diventano un’unica forma sia che il testo sia cantato (Physical Variety, Anarachnid) o declamato (In White Lies Winter, Promise).
Libera improvvisazione, parola poetica, armolodia: il trio propone un progetto di grande interesse.

Alexander Hawkins – Tomeka Reid, Shards And Constellations, Intakt Records 

Un incontro per nulla causale quello tra il talentuoso pianista inglese e la violoncellista americana, complice l’etichetta svizzera Intakt, che ha saputo fare da trade union. Entrambi hanno un sostrato culturale ed esperienze che li collocano nell’avant-jazz, ricordiamo che la Reid ha collaborato sia con l’Art Ensemble of Chicago che con l’AACM.
Il jazz gioca sempre con i medesimi elementi per esprimersi ma i singoli giocatori possono fare la differenza, il free jazz storico ha saputo proporre un percorso di ricerca di innovazione, di rabbia, di rivoluzione, incarnando il proprio tempo. Hawkins e Reid usano lo stesso afflato ripensandolo nella contemporaneità. Un pensatore come Gilles Deleuze, parlando di Kafka, lo inseriva in una letteratura minore, che non è il livello inferiore di quella maggiore. Deleuze spiega:” Una letteratura minore non è la letteratura d’una lingua minore ma quella che una minoranza fa in una lingua maggiore.” Questa è la chiave per interpretare l’album, una minoranza, i nostri due artisti si appropriano degli strumenti del jazz per deterritorializzare la musica prodotta, esautorarne il territorio, superarne i limiti. Non c’è la rabbia infuocata del free jazz alla sua nascita ma un accurato studio sulle timbriche, le dinamiche. Un progetto che si scorda dell’armonia, gioca con la melodia ma soprattutto si pone continuamente la direzione da prendere. I growl, i rumori, l’uso non accademico dello strumento, tutte situazioni che permettono un fluire di energia continuo, nessun virtuosismo gratuito. Anche in Peace on You di Muhal Richard Abrams, il tentativo di sviluppare una melodia viene inficiato dall’energia tracotante del violoncello che non riesce a contenere la propria esuberanza e si orienta verso nuove potenzialità.
Timbrica, dinamica, melodia, improvvisazione e consapevolezza del proprio interplay, tutti elementi che realizzano un album magnifico nelle mani di due oculati e mirabili creatori di sonorità inedite.

Alexandra Grimal – Giovanni Di Domenico, Down The Hill, Autoprodotto

A volte gli incontri generano equilibri perfetti, punti di vista comuni, dialoghi spontanei. E’ questo il caso dell’incontro tra il sassofono soprano della Grimal e il pianoforte di Di Domenico. L’album autoprodotto si muove tra echi di jazz cameristico e la volontà di non permettere all’ascoltare di essere inserito in una categoria. Si passa da brani come Pneuma, in cui il pianoforte si concentra sulla timbrica ispirandosi all’impressionismo francese, mentre la Grimal sussurra, crea labirintici soffi, approccia lo strumento nella maniera più inusuale e più affascinante, ad una traccia come Whispers And Songs, che si appropria di melodie folk ed è la voce dell’artista francese che mette in luce le sue proprietà evocative.
L’impianto cameristico del progetto si muove maggiormente verso i territori della classica contemporanea piuttosto che il jazz, tranne che nei brani cantati. Il contrasto tra la voce armoniosa della Grimal (Down The Hill, The Place To Be) si scontra con le frasi avvitate del sassofono (Kaali, Sketch, Bigach) ci sovvengono le Sequenze di Luciano Berio. Se Di Domenico appare più interessato alle atmosfere e alla timbrica la Grimal manifesta l’intento di esplorare le più remote profondità del  suo strumento e i limiti a cui esso può arrivare.
Rimane una sensazione enigmatica alla fine dell’ascolto, qualcosa di magico e di meravigliosamente semplice è accaduto.

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Nicola Barin è un appassionato di musica jazz e di cinema. Dal 2008 sino a Dicembre 2017 ha condotto il programma di musica jazz "Impulse" per l'emittente radiofonica Radio Popolare Verona. Dal 2016 conduce, per la radio web www.yastaradio.com, il programma di musica jazz "Storie di Jazz". Collabora inoltre con i magazine on-line: www.jazzconvention.net, www.distorsioni.net, www.traccedijazz.it e con la testata giornalistica www.sound36.com. Scrive inoltre per il sito della rivista musicale Jazzit, www.jazzit.it. In passato ha stilato diverse interviste per la testata giornalistica on-line Andy Magazine confluite nel progetto "My Life/My Music", curato dal critico musicale Gianmichele Taormina, che indagava i protagonisti del jazz italiano.