La cultura musicale classica americana: tra innovazione ed americanismi

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1881

 

Verso la fine dell’ottocento, dopo cent’anni di tradizione musicale genericamente importata dall’occidente e che copre anche gran parte del periodo romantico, gli Stati Uniti, unitamente alla loro economia, svilupparono anche la loro identità musicale, un ruolo che ancora oggi è pienamente attivo e che fa da stimolo anche alla più vecchia cultura musicale occidentale. Alcuni uomini furono dei veri e propri “fari” per la continuità musicale nel mondo e sarebbe bene parlare di loro in misura maggiore di quello che se ne fa oggi, poichè si pensa più alla fruizione che all’importanza di una scoperta musicale: vero è che ci vogliono persone giuste al momento giusto, ma chissà perché in Europa, dove certe tendenze erano più forti, non ci sono state sempre adeguate ricomposizioni da prima linea.
Dicevamo uomini: uno dei più influenti artisti è stato Charles Ives: come descrive Steve Schwartz in una biografia su Classic Net: “……..I primi compositeri, come William Billings da una parte e Edward MacDowell dall’altra, provarono ad esprimere gli Stati Uniti in musica, ma i loro sforzi erano o troppo legati alle piccole forme vernacolari o pagavano tributo nell’idioma o nell’approccio strutturale ai modelli Europei di quel tempo. E’ difficile separare MacDowell da Schumann, per esempio, a meno che non si parli di qualità. Ives fu il primo americano che non suonava come nessuno in Europa, non era né Brahms, né Wagner, né Debussy.” Ives cercò di esprimere l’intero spirito del paese, soprattutto di quel paese colto medio borghese che faceva del benessere culturale una ragione di vita e lo sbatteva in faccia agli Europei; non a caso Ives fu esponente musicale della corrente letteraria del Trascendentalismo, ossia di quella disciplina derivante dall’Illuminismo di Kant che criticava la ragione e dava piena libertà ai rapporti verso l’uomo e la natura: tale teoria riversata in musica, significava un neonato ed incredibile sperimentalismo, un rifiuto “graduale” del modo di suonare del periodo: dopo gli inizi romantici che già facevano intravedere una diversità negli approcci musicali, subito dopo la terza sinfonia, il compositore americano si gettò a capofitto nei suoi nuovi teoremi fornendo una “base” musicale riscontrabile soprattutto nelle composizioni pianistiche, che costituirà repertorio per gran parte dei pianisti classici del novecento: il suo stile comprendeva elementi tipicamente americani (inni, marce, orchestrina da banda, etc.) ed interventi nella atonalità (usando terzi o quarti di tono).
Un altro americano importante fu Henry Cowell: tutti i musicisti che si fregiano dell’etichetta di “modernità” devono qualcosa a questo compositore, che già all’epoca assieme ad altri suoi contemporanei, veniva considerato come “ultramodernista” (esiste un cd della MDG in tal senso); Cowell era un compositore affamato di musica che non si accontentò di dare un contributo fondamentale alla sperimentazione sugli strumenti, scoprendo le possibilità dei tone clusters (ossia il suono irriverente, atonale, costruito con la pressione contemporanea di più note sul piano, che creò la figura del pianista radicale), o le sonorità derivanti dall’uso delle tecniche estese (suonava con le mani dentro il telaio del piano e spesso si faceva aiutare per l’uso dei pedali), o le tecniche ritmico-armoniche effettuate sugli archi, ma cercò nei suoi continui viaggi all’estero, specie in Oriente, di codificare una volta per sempre l’esistenza delle tradizioni musicali dei paesi, dando ufficialità al movimento di preservazione della “world music”: è con lui che nasce e viene riconosciuto il genere.
Un’altro grande sperimentatore musicale fu George Antheil, che ancora oggi viene ricordato per il suo “Ballet Mécanique” in cui la composizione viene tutta pensata nell’ottica percussiva di una macchina: Antheil era una persona piena di interessi particolari nondimeno quelli belligeranti, tuttavia è necessario valutarlo anche sulla base delle altre opere pubblicate in particolare le sinfonie nelle quali è evidente il contributo stilistico apportato al genere, evidentissimo negli arrangiamenti “percussivi” che seguono lo sviluppo dei brani.
Se Ives tendeva ad una supremazia degli aspetti colti della tradizione americana, George Gershwin invece incarnava il mito della gente comune americana: le prime contaminazioni tra generi ed in particolare tra classica e jazz avvennero per suo merito. Il compositore americano riuscì a sistemare le due diverse istanze musicali forte di una preparazione che lo vedeva immerso nelle tematiche impressioniste francesi di fine secolo (Debussy e Ravel), dall’altra l’esperienza vissuta nel periodo d’oro del musical americano gli diede le armi necessarie per affrontare anche le tematiche relative alla musica jazz. Divenne uno dei compositori più eseguiti di tutti i tempi la cui importanza in tal senso viene condivisa solo con gli altri grandi creatori di standard a stelle e striscie: Cole Porter, Rodgers/Hart, Irving Berlin e Jerome Kern. L’influenza di Gershwin fu comunque subito visibile anche nei compositori americani come William Grant Still e Virgil Thomson che in alcune loro sinfonie completarono il discorso da lui iniziato; anzi Thomson ne ando ancor di più alla radice cercando di trasferire in musica elementi della ruralità americana. Compositori del livello di Gershwin se ne videro pochi successivamente: sicuramente vanno ricordati tra i più innovativi Aaron Copland, che introdusse elementi folkloristici nella composizione anche sinfonica e Antheil come detto. Nel jazz evidenti furono i legami musicali che portarono alla ribalta personaggi come Duke Ellington e Dave Brubeck.
Ma l’America ad inizio novecento fu innovativa anche per una particolare caratterizzazione della sinfonia, che quando era legata ai dettami occidentali, acquisiva uno status autonomo in virtù di uno spettacolare lavoro di finitura armonico degli strumenti ad arco: la composizione cresceva di intensità e dava spazio ai compositori di esprimere alla perfezione i tempi “oscuri” che precedevano la seconda guerra mondiale: ci furono nuovi ed eccellenti esponenti, che offrivano un indiretto commento alle vicende umane del mondo, come narra nel suo libro “The great american Symphony” Nicholas Tawa “…Samuel Barber parla appassionato, con toni profondamente personali. Egli canta spesso con nostalgia o desiderio. Allo stesso tempo, non consente a sentimenti sdolcinati di prevalere. In contrasto, una sorta di fame spirituale pervade la musica di Howard Hanson……che si basa sulla scelta di persone ed eventi ben precisi…e che è dietro il significato delle etichette di “Nordic” e “Romantic” che egli ha dato alle sue prime due sinfonie, e dietro la riverenza per il contributo spirituale…di pionieri del nord che ispira la sua terza sinfonia. Roy Harris è differente da Barber ed Hanson e bisogna fare i conti con quello che stabilisce nella scrittura..egli afferma di abbracciare l’America nonostante i suoi difetti ed imperfezioni. In realtà è più adatto a descrivere situazioni del passato e del presente rurale. William Schuman è urbano: il trambusto delle città di giorno e il mistero delle strade deserte di notte emergono nello stile di Schuman…la forza della musica sta nell’onestà intellettuale della sua comunicazione, che non è rude o brusca…
Subito dopo la guerra, i nuovi compositori si indirizzeranno o verso le forme categorizzate da John Cage, quindi riversandosi nel mondo dell’aleatorietà e nelle pratiche della composizione elettro-acustica, oppure seguiranno le teorie di Darmstadt di Schoenberg, Berg, Webern, etc. infilandosi nella pratica dell’atonalità e del serialismo (Roger Sessions, Milton Babbitt). Non mancano, ma sono decisamente in numero inferiore, i compositori che riprenderanno il passato “romantico” di Hanson e Barber: le composizioni, cominciano però a contenere modificazioni stilistiche in rapporto al cambiamento dei tempi; facendo leva sul patrimonio artistico accumulato fino a quel tempo (classica americana inizio secolo, serialità, atonalità, elettronica, jazz, blues, folk, inni, canzoni, lezioni dei romantici e degli impressionisti francesi, americanismi, ruralità, etc.) si cerca di costituire un melting-pot che abbia sapore per i gusti degli ascoltatori: in tal senso vedi Leonard Bernstein, Alan Hovhaness, Robert Ward, Vincent Persichetti, Elie Siegmeister, George Rochberg, Lou Harrison, ognuno con sue specifiche caratteristiche. Questa situazione si protrae fino ai giorni nostri, con compositori più giovani come Christopher Rouse, Ellen Taaffe Zwilich, John Corigliano, Aaron Jay Kernis e con il nuovo contributo dei minimalisti come Philip Glass, John Adams, etc.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.