Dave Alvin & Phil Alvin play and sing the songs of Big Bill Broonzy

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David McSpadden Dave Alvin & Phil Alvin with the Guilty Ones, https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/, no change was made
Une delle ultime riscoperte della tradizione musicale popolare americana passò nelle grinfie di due fratelli di Downey, California: negli ottanta, Phil and Dave Alvin diedero luogo al progetto The Blasters, una versione aggiornata di rock’n’roll, rhythm’n’blues e rockabilly, che probabilmente costituì uno degli high points di quello che in quegli anni veniva chiamato “nuovo tradizionalismo” (questa definizione fu usata dai giornalisti dell’Ultimo Buscadero che dedicarono un articolo al presunto movimento, coinvolgendo personaggi naturali come T-Bone Burnette, Los Lobos o Mojo Nixon & Skid Roper, e musicisti trasversali come Sun Ra, Lester Bowie, Abdullah Ibrahim e persino David Byrne).
In particolare il primo album solista di Phil Alvin, “Unsung stories” risultò essere un capolavoro di interposizioni, fatto non solo con l’entusiasmo di chi vive intensamente la propria identità culturale, ma anche mostrando capacità tecniche che forse erano sconosciute ai musicisti che venivano veicolati in quelle forme. “Unsung stories” sceglieva con precisione archelogica in un repertorio imparentato con Cab Callowey, Otis Blackwell and E.Y. Yip Harburg., dove gli ospiti chiamati a partecipare (dalla Sun Ra Arkestra alla Dirty Dozen Brass Band) donavano lustro ad un elemento che per Phil era molto importante, e cioè l’intrattenimento. “,,,,,,c’è un aspetto che ha abbandonato il jazz dopo la seconda guerra mondiale, lasciandolo soprattutto ad appannaggio del rock/r&b: l’elemento ludico, suonare per fare divertire il pubblico. Il jazz del dopoguerra divenne un’avventura alla scoperta di nuovi patterns sonori. Ciò coincise con l’emarginazione dei trombettisti, vale a dire i solisti dell’età delle big bands e del New Orleans jazz, a favore dei sassofonisti e dei pianisti, vale a dire strumenti più “seri”….” (Intervista a Phil di Guido Chiesa, Buscadero, gennaio 1987).
I dissapori tra i due fratelli Alvin confinarono le pubblicazioni discografiche nell’esperienza dei Blasters (Hard Line fu un notevole punto di arrivo), ma fu evidente che anche da soli i due avevano un potenziale illimitato di risorse. Mentre Dave ha continuato egregiamente la sua carriera solistica, Phil dopo Unsung stories non ha più registrato come solista.
Dave Alvin & Phil Alvin play and sing the songs of Big Bill Broonzy.”, un omaggio a Big Bill Broonzy, un mentore formativo non solo di Dave e Phil ma anche di molti famosi musicisti rock-blues (Clapton, Page, etc.),  potrebbe essere considerato quindi un gradito ritorno dei Blasters dopo tanti anni di assenza sotto altre spoglie nominali, anche perchè la nuova formazione chiamata Common Ground, ha al suo interno ancora l’apporto fondamentale del pianista Gene Taylor.
Quello che ha caratterizzato Phil e Dave sono state alcune loro qualità artistiche: mentre Phil ha una voce splendida, tenorile, direi ridondante per il mondo del rock, Dave è un’ottimo chitarrista e songwriter (e con la sua voce cupa si pone in netta contrapposizione con quella squillante di Phil). Questi fattori distinguono la musica dei due musicisti da quella che normalmente si ascolta nel giro dell’american music: qualità artistica e ricerca “archelogica” sono i drivers sui quali si è basato il recupero delle dimensioni popolari dei due americani e anche stavolta la celebrazione di Broonzy non smentisce affatto questa regola: quei temi semplici che facevano parte della vita degli americani deboli di un secolo fa non sono spariti, restano in altre forme (l’alienazione, le delusioni in amore, il cambiamento delle persone a noi vicine sono temi universali) e colgono il messaggio che si vuole dare con le reinterpretazioni, ossia quello di sapersi misurare con le eredità lasciate dalla musica tradizionale, cercando tra argomenti storici non valorizzati adeguatamente dalla musica.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.