L’uomo dei piatti non suona

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Concerto del Klangforum Wien & PPCM – martedì 23 Aprile 2013, 19:45, György Ligeti Saal, MUMUTH, Graz (Austria). Concerto con musiche di Poppe, Grisey, Koenig, Gander, direttore: Titus ENGEL.
Diretti dal sicuro gesto di Titus Engel (1975), Klangforum Wien, e PPCM (Elena Gabrielli – flauto, Barbara Gatschelhofer – oboe, Theresa Dinkhauser e Arnold Plankensteiner – clarinetti, Doris Segula – violino, Myriam Garcia – violoncello, Nikolaus Feinig – contrabbasso, Janos Figula– percussioni, Maria Flavia Cerrato – pianoforte, Tsugumi Shirakura –tastiera midi e pianoforte) confermano quanto un interprete deve essere in grado di fare: esaurire tutto ciò che una musica può offrire; avendo ascoltato il concerto, direi, che vi è stata un’approssimazione molto alta -testimonianza di una generosa serietà – a tale ovvia esigenza.
Le musiche passate in rassegna al Mumuth di Graz sono: Speicher I (2009/10) di Enno Poppe (1969) per grande ensemble, Partiels (1975) di Gérard Grisey (1946-1998) per 18 strumenti, Varianten 1 (2011) di Gottfried Michael Koenig (1926) per clarinetto, trio d’archi e pianoforte, Bunny Games (2006) di Bernhard Gander (1969) per ensemble. Enno Poppe: «I fenomeni musicali non sono mai astratti». L’idea alla base di Speicher I, primo lavoro di una importante serie di composizioni che terminano in Speicher VI, è la ricerca di estremi, estrema condensazione, diradamento, accelerazione, ampliamento. Ancora Poppe: «tutto può essere riconoscibile – un unico suono, nonché una struttura formale completa. Pertanto, sembra meno importante mantenere l’inserimento di nuove idee nel pezzo, ma piuttosto di creare una rete imprevedibile di derivazioni». Per l’appunto, derivazioni che sembrano essere polvere di stelle, movimenti con continue accelerazioni e decelerazioni, improvvisi cambi di metro, rarefazioni e densità ora centripete, ora centrifughe approssimate a delle continue climax brevi. Una tensione quindi discontinua, perennemente contrastata dalla rapidità dei punti culminanti che non sono mai un rimasticato processo di polarizzazione, bensì, un vero e proprio confluire nell’articolazione formale attraverso le maglie dei materiali in atto. Un paragone? La cadenza sospesa, qui magnificamente “evocata” dalla sola propulsione ritmica. Opera costruita su di una scala diminuita/ottofonica (un omaggio a Stravinsky?) e sull’ambiguità delle altezze (proprie del timbro), dell’intonazione, senza mai ricorrere alle “normali” tabelle per la produzione di suoni multifonici ma immettendoli in un naturale contesto sonoro dove ogni nota è/può essere un vibrato, un glissato, portato, ‘quasi’ un’altezza determinata ecc. Sintetizzando, l’emissione sonora diviene qui parametro primario e non più sola proprietà fisico/acustica. Un naturale passaggio avviene quindi con Partiels di Grisey; lavoro capostipite del cosiddetto movimento spettralista, un manifesto decisamente entusiasta verso quella che è stata una semplice invenzione tecnica, ovverosia, lo spettrogramma. Partiels fa parte del magnifico ciclo di 6 composizioni di: Les Espaces Acoustiques. La sintesi che Grisey qui applica concerne la creazione di suoni, da un lato, e le relazioni fra toni, dall’altro, il tutto come risultante di parziali armoniche, in questo caso, di un MI grave del trombone, direi, quasi un’ecografia dello stesso. Così l’apertura caratterizza l’ingresso successivo di parziali inferiori, ogni parziale è approssimata al quarto di tono più vicino, il contrabbasso rafforza la fondamentale un’ottava più bassa sulla corda E1 aperta, che è centrale per Les Espaces Acoustiques, ciclo di cui Partiels è terza parte. Riassume Grisey:« (…) non più comporre con le note, ma piuttosto con i toni, il controllo delle differenze, vale a dire lo sviluppo (o non sviluppo) il tono e la velocità del suo sviluppo. Queste applicazioni possono essere sentite nelle loro forme più radicali in Partiels». Radicale ovvero verso uno stile sintetico in cui i vari parametri contribuiscono alla realizzazione di un singolo suono. Per esempio: la fattezza di un temperamento può contribuire alla creazione di nuovi colori di tono, dando origine a certe strutture di durata, che contribuiscono a loro volta ad una timbrica globale.
Intervallo, segue brevemente Koenig: Varianten 1. Opera seriale classica, perlomeno all’orecchio, generata sembrerebbe dal suo famoso programma per la composizione assistita Projekt 1 (…). L’evento termina con Bunny Games di Gander. Si è parlato spesso di ironia in musica e, personalmente, non avevo ancora trovato un’opera che producesse in me tale sensazione. Con i “Giochi di Bugs Bunny” ho dovuto e con mia piacevole sorpresa, ricredermi. L’ironia in musica esiste e Gander ne è Maestro. Bunny Games è suddiviso in 15 parti da un minimo di 30 secondi ad un massimo di 3 minuti l’una ed i momenti in cui si ride sono veramente molti. Attenzione: ridere, non deridere! L’opera di Gander è complessa, seria e validissima in termini strettamente musicali, una musica vorticosa, che zampilla di imprevedibili risonanze e fa riflettere il suono in ogni possibile direzione; è solo che questa musica, seppur inscritta in una continua tensione (interrotta solamente dalla divisione in parti), allo stesso tempo, suscita della forte, intelligente ironia. Vi sono presenti citazioni di Varèse, Berio, Stravinsky, Scarlatti, Madonna, Black Sabbath, Abba; certamente non è l’ammontare delle citazioni (apparentemente strampalate) a produrre risi, bensì il competente uso che Gander ne fa. Ascoltare Scarlatti mentre gli archi glissano, oppure il contrabbasso che intona come solista Iron man dei Black Sabbath, o, ancora, far esplodere in termini clowneschi, raddoppiando gli ottoni, un estratto da Intégrales di Varèse ecc. è veramente una prova di grande comicità degna della migliore tradizione umoristica. «Il comico è ciò che è fuori tempo e fuori luogo, senza pericolo (‘con pericolo’ ci sarebbe il ‘tragico’)» scrive Emerson.
Concludendo: chi ha prodotto tutte queste magnifiche sensazioni per l’intera durata del concerto? I musicisti, certo, ovvio a dirsi, ma se si riflette ancora un poco, non si direbbe poi più così ovvio… Come compositore, musicista, posso soltanto ringraziare questi magnifici musicisti tutti, per le loro straordinarie capacità interpretative, dai giovani musicisti del PPCM, al direttore Titus Engel (Ensemble Recherche, Ensemble Modern, WDRRundfunkorchester ecc.), ai membri del Klangforum Wien che ancora una volta hanno saputo dimostrare di essere interpreti legittimi della musica del nostro tempo.
                                                                                           Simone Santi Gubini
(Graz, 26 Aprile 2013)

Nota: il concerto può essere ascoltato con alcuni commenti a questo link: http://oe1.orf.at/programm/337176

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Simone Santi Gubini è particolarmente interessato ad un musica come esperienza fisica intensa, ad una musica come richiesta da soddisfare. Utilizzando sviluppi altamente testuali, ambiguità estrema e toni sovraesposti, il compositore crea un massimo contrasto in ogni parametro musicale ed un'esplosione di relazioni in continuo mutamento per plasmarne di nuove, costringendo la percezione consolidata a rompersi definitivamente. La brutalità del volume e l'implacabile intensità musicale richiedono una grande forza fisica dell'esecutore, uno stato di controllo assoluto e perdita dello stesso. Il corpo degli strumenti media l'enorme rilascio di suono sul pubblico, un'improvvisa accelerazione dell'impatto sonoro nota come shock. Shock come esperienza musicale definitiva.