Assortimenti musicali più o meno delineabili

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Passo in rassegna le recenti novità della Setola di Maiale, spendendo qualche pensiero.
Parto per prima dalle “Morfocreazioni” di Alessandro Seravalle, chitarrista friulano noto per essere il fondatore del gruppo di progressive metal dei Garden Wall e sperimentatore nel progetto futurista dei Schwingungen 77 Entertainment. L’ambiente di lavoro di Seravalle qui sosta formalmente nell’area che sta tra le idee di Michaux e Cioran: del primo ci si appropria della terminologia e delle descrizioni allucinate, del secondo l’impronta nichilista. Ma in verità c’è un comune senso pessimistico da maledetto sognatore che attraversa le sindromi di Seravalle, la cui statura progettuale viene qui perfettamente definita. E’ sintomatico il fatto che Cioran attribuisse alla musica un valore fondamentale, anzi intravedeva in essa una sorta di potere alieno in grado di consentire un riparo relazionale nella “provvidenza dell’abulico”. Qui il problema è come inglobare questa macabra scoperta in un prodotto musicale: Seravalle lavora su 5 pezzi che hanno in comune spesso una Hollowbody electric guitar, un feedback distorsivo ed intermittente di corrente elettrica adeguatamente campionata e strutture che lavorano in profondità sulla mente subdola dell’ascoltatore. Le coordinate di partenza sono le trasformazioni sperimentali che Hendrix piazzò a mò di spezie sul suo Electric Ladyland, ma poi c’è un accesso diretto agli abissi inquietanti dell’elettronica moderna: i fautori della dance intelligente e i rumoristi hanno tracciato un percorso (ancora oggi non abbastanza visibile ed appagabile per farne un idioma generalizzato), ma il merito di Seravalle è quello di saper dosare le quantità degli elementi in suo possesso e sposare una buona causa, quella dei suoni buoni (ciò che determina la differenza di qualità con un prodotto medio dell’elettronica). In Morfocreazioni pare di assaporare le visioni di Michaux e Cioran e di entrare in un mondo in cui le chitarre elettriche parlano un’altra lingua, non molto consueta, dove il linguaggio ha un’impronta decadente come quella magnificamente esposta da Messiaen nei suoi quartetti per la fine dei tempi (che qui viene ottimamente omaggiato negli intenti). Si tratta di dosare i suoni e dosare gli spazi, compreso lo spazio del silenzio: in tal senso può essere utile accompagnare l’elettrostaticità creata, diffondendola a forma di tagli e spezzoni di suoni variamente configurati così come succede in Drenaggio, tema a diapositive del pensiero frammentato. Per me questo è un altro pezzo forte del catalogo Setola.

Luigi Bozzolan è un pianista che ha trovato in Svezia l’interesse e la possibilità di approfondire il proprio pianismo: Ravelden, il suo recente trio, lo vede improvvisare con Torbjorn Omalm alla chitarra elettrica e Markus Larsson alle percussioni, ma Bozzolan ha invitato anche Achille Succi a Gallivare per contribuire alla stesura di Dola suite, tre parti che si caratterizzano per un equo bilanciamento tra jazz, libera improvvisazione e spirito nordico; ciò che colpisce nel sistema introitato dal gruppo è la capacità di elaborare gli sfondi sonori, che passano dal più destabilizzante paesaggio sonoro provocato delle tecniche improvvisative ai climax sostenuti e teneri che si irradiano nelle maturità delle improvvisazioni. Come passare da acque torbide ad uccelli in volo. Bozzolan ha un’ascendenza classico-contemporanea che si avverte nettamente, messa a disposizione per un nucleo stilistico che porta molti semi dietro di sé e che indica come nei paesi nordici da tempo sia avvenuta una maturazione musicale del pubblico che in Italia non arriva.

Apnea è un’esibizione fatta alla Cantina Cenci di Treviso nel gennaio di quest’anno con quartetto formato da Luciano Caruso (curved soprano sax), Ivan Pilat (baritone sax), Fred Casadei (cb) e Stefano Giust (batteria): il disegno grafico che domina l’aspetto del cd è anche indicativo del tipo di soluzioni che si vogliono rappresentare: sono ragnatele di linee colorate libere e non geometriche, dove è possibile anche scorgere ad un certo punto una conglomerazione, una matassa che sembra un occhio che vigila sull’impianto visivo. L’improvvisazione qui segue lo stesso percorso: è un free jazz scomposto, che ad un certo punto si concentra nelle attenzioni dei solisti (succede ad esempio a beneficio di Casadei nell’intro riflessivo di Untitled Flower, nella carambola percussiva di Giust in Untitled Skies, a Caruso nelle legature progressive del finale di Untitled State, a Pilat nell’entrata in Entitled Person dove nel frattempo l’ambiente è virato nel pirotecnico).
In Apnea ci sono elementi a iosa per quantificare e certificare l’astrazione potente della musica: i due sax riscuotono i loro momenti migliori nel legarsi in sintonie prive di riscontro armonico, ma l’impressione è che sia il reparto ritmico ad avere il predominio delle operazioni. Con un intraprendente Casadei al contrabbasso ed un Giust in gran spolvero, smagliante nel proporre una trama poliritmica, assecondata da giochi percussivi e caratterizzazioni personali, non c’è dubbio che si stesse proprio bene in quella cantina, quel giorno. Quanto a Giust sarebbe arrivato il momento di sbilanciarsi nuovamente in una prova totalmente solistica, guidata comunque dall’aspetto percussivo, in cui materializzare l’esperienza e i risultati acquisiti in una carriera eclettica a cui manca (l’ho detto forse altre volte, ma lo ripeto!) solo il riconoscimento internazionale.
Dieci è il progetto del chitarrista Eugenio Sanna che sonda ancora i concetti dell’improvvisazione libera collettiva: coadiuvato da improvvisatori consolidati (Stefano Bartolini, Guy Frank Pellerin, Edoardo Ricci, etc.) e altri più giovani ma non meno efficaci (Marco Baldini, Cristina Abati, Maurizio Costantini), il Dieci Ensemble indaga sulle autenticità di un sacrilego risvolto della storia musicale che da tempo trova incerto il campo dell’apprezzamento dell’audience; si tratta di ambienti musicalmente ostili, specie al primo ascolto, sui quali è difficile configurare emotività latente. Ma se per emotività ci riferiamo al suo concetto più esteso e meno ingannevole, ossia alla possibilità di creare immagini mentali in rapporto alle caratterizzazioni dei suoni, allora il Dieci Ensemble non permette discussioni di sorta. Gli impasti liberi creano spesso degli aggregati che superano le barriere della sterilità e l’idea che vuole essere trasmessa è quella di rincorrere in spezzoni la nostra vita di relazione per trovare un’identità senza preconcetti: per un musicista vero questo significa captare i “Rigurgiti sinfonici” o “Un adagio sofisticato” da un’improvvisazione di massa guidata da regole inconsce, oppure lavorare alacremente sulle contrapposizioni degli strumenti vuol dire cogliere i “Canti di uccelli a primavera” o lo “Jodel di montagna gratuito“.
Sono i significati sottostanti che bisogna scoprire per dominare la chiave di volta di quello che come ben dice Sanna è progettualità in interplay tesa alla formazione di “…..un disegno affascinante e ri-costruttivo di nuovi paesaggi sonori di grande impatto e forza, del tutto coerenti con lo spirito del nostro secolo……“: qui i musicisti sono ineccepibili nel darvi le informazioni giuste per arrivare a quei domini.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.