Karl Berger & Ivo Perelman: Reverie

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Reverie” is composed of six songs that are musical pills of wisdom, that demonstrate an immense knowledge of the expression: these improvisations reflect Berger’s pianistic entretien but constitute a real test for the Brazilian saxophonist who must adapt and calm his expressive impulses; Berger know his module, it is based on a weak Taylorist structure, with different scalar chords that simulate dynamic climbs, a waiting phase a la Debussy, and many thoughtful pauses; but the surprise is to hear the Perelman’s sax that moving (in his way) in the land of a ballad, a fact that we had never heard in the career of the Brazilian musician (for some similarities we should go back to the melodic music of his first period); but this is a convincing evolution such as his expressionist trials on sax, because it has an indeleble mark.
“Reverie” is spread over an unexpected and effective interaction between the two musicians, with instrumental phases that are almost in unison (i.e. the expression travels in same emotive direction); it’s an oasis of music that is based on high-quality technical details, and in general, the two musicians give off a sort of well-being of intentions that gives a nod to the philosophical and spiritual side of music. One of the more refined, substantial free forms of the year.

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Non me ne voglia Ivo se mi dilungherò sul pianista tedesco Karl Berger, soggetto della sua collaborazione: di questo intelligente e splendido musicista non se ne è mai parlato abbastanza (soprattutto su queste pagine), perciò il binomio mi permette di farlo.
Berger è uno di quelli che hanno fatto la storia del free jazz, non solo perchè è stato capace di creare un interesse creativo intorno a sè (Karl ha fondato il famoso circolo del Creative Music Studio) ma anche perchè è stato rappresentante attivo di una scena in evoluzione: sotto quest’ultimo aspetto Berger è stato un nucleo forte di quello che ha dominato i palchi tedeschi negli anni sessanta: musicisti come lui, Von Schlippenbach, Mangelsdorff, Schoof, Dauner, Weber, suonando assieme al Free Jazz Meeting di Baden Baden nel 1968, incarnavano un momento speciale del free jazz teutonico: mostravano di fianco alla carica energetica radicale un interesse per la bellezza melodica e la riflessione. Karl si mise subito in evidenza come uno splendido vibrafonista, di quei funamboli sullo strumento che era difficile a trovarne, ma anche come pianista era notevole: in una situazione storica in cui il jazz stava andando dalla parte di Gary Burton o Keith Jarrett, Karl proponeva una svolta stilistica quasi controsenso: era unico nel tratto tra i vibrafonisti europei (e diverso anche da Hampel) e con affinità poco marcate con Bud Powell al pianoforte, versando il suo pianismo nell’evocativo del novecento classico (ma comunque diverso da Jarrett).
Discograficamente Berger iniziò un ciclo di albums perfetti (ancora oggi tutti fuori catalogo inspiegabilmente!) che va da “Tune In“, in cui le capacità del vibrafonista venivano a contatto con un paio di musicisti ricorrenti della sua carriera, ossia Dave Holland e Ed Blackwell (il quartetto era completato da Carlos Ward), fino all’esperienza della “Woodstock Workshop Orchestra” (che ospitava mostri sacri del free jazz statunitense)*. Undici anni fecondi (dal 1968 al 1979) che riflettevano la maturità del pensiero del musicista: citato come uno degli ultimi allievi di Adorno, dopo essersi gradatamente distanziato dal free jazz veloce e tutto punto degli esordi, egli si ritagliò uno spazio critico come emblema di una “musica-universo”, una teoria che mischiava la “libertà” con gli orizzonti geografici della musica, particolarmente portata a compimento nel laboratorio orchestrale della Woodstock Workshop: in quella prova, in cui probabilmente le idee furono anche influenzate dalle concomitanti operazioni di Don Cherry, ci fu un cambiamento per l’artista, che cominciò a prediligere situazioni musicali che avevano più legami con il jazz statunitense, la world music intesa in senso ampio, come forma di avvicinamento tra generi che quasi si preoccupavano di avere rapporti con le musiche extra occidentali.
Nonostante sempre altisonanti collaborazioni e un paio di arrangiamenti straordinari per il Grace di Buckley e Ophelia della Merchant, l’ispirazione del vibrafonista/pianista tedesco cadde in un evidente difetto di normalità: progetti piuttosto scontati ed un ingentilimento della musica rendevano inutili certi episodi (si pensi al duo ambient-remissivo con Namlook); il recupero è arrivato nell’ultimo decennio scorso con alcuni duetti di valore (anche se non irresistibili) con John Lindberg, Dom Minasi, nonchè con il suo lavoro in solo per la Tzadik nel 2010, utile per rivalutarlo agli occhi dei ritardatari.
Reverie” è composto di sei brani che sono pillole musicali di saggezza e conoscenza dell’espressione: basato sul tipo di entretien pianistica di Berger, costituisce un vero banco di prova per il sassofonista brasiliano che deve adeguarsi smorzando gli impeti; di Berger conosciamo il suo modulo fondato su una debole struttura tayloriana con fasi in cui cerca accordi scalari sempre diversi simulando salite dinamiche del tono, a cui si aggiunge qualche fase di attesa debussiana, e si inseriscono molte pause riflessive; ma la sorpresa è sentire il sax di Perelman che suona (a suo modo) come in una ballad, una circostanza che mai aveva attraversato la carriera del brasiliano (per delle similitudini bisognerebbe risalire alla melodicità del suo primo periodo musicale); ma è un’evoluzione di tale ben fattura, che risulta convincente quanto le sue usuali prove espressionistiche al sax.
Reverie“, quindi si sviluppa su un’inaspettata e valida interazione tra i due musicisti, con fasi strumentali che vanno quasi all’unisono (cioè viaggiano nella stessa direzione emotiva), oasi musicali che si fondano su pregiate particolarità tecniche, ed in generale viene infuso al tenore generale uno stato di benessere degli intenti che strizza l’occhio al lato filosofico e spirituale della musica. Una delle più raffinate e sostanziose free forms dell’anno.
Nota:
*particolarmente consigliati sono oltre quelli citati, We are you con Allen Blairman, With Silence con Masahito Sato (Enja 1972), il Peace Church Concert (con Holland e Sertso, CMC 1974) e Changing Time (Horo 1977).
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.