Differenti intonazioni della kora africana

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Source https://www.flickr.com/photos/babasteve/178092356/ Author Steve Evans, Creative Commons Attribution 2.0 Generic license. No change was made
Nella decadente e nevrotica situazione della società odierna andare a cercare musica con un potente potere liberatorio è quasi una necessità, e spesso, questo bisogno, lo si può soddisfare nella musica etnica: a differenza di quello che si può pensare in base alla propria esperienza, questa ricerca non trova un risultato utile solo nelle consuete estremità asiatiche del globo, ma la si può trovare dovunque. Nel nord ovest dell’Africa, ad esempio, è da tempo che famiglie gerarchicamente individuate come caste hanno portato avanti generazioni di musicisti per lo più custodi di una tradizione orale che si è poi trasferita in quella strumentale: in Mali, Gambia, Senegal sono nate posizioni musicali che hanno sviluppato un doveroso rispetto per la strumentazione tradizionale, in particolare uno tra tutti, la kora, che ha caratterizzato in maniera indelebile l’etnicità dei paesi succitati; oggi abbiamo intere schiere di suonatori di kora iconoclasticamente individuate nelle famiglie dei Kouyate, dei Suso, dei Diabaté, dei Sissoko, etc.
La bellezza del suono di questa antica arpa a ponte si lascia apprezzare per vari motivi: musicalmente è una culla di civiltà che ha affascinato anche il resto del mondo, tanto da far nascere scuole e didattiche specifiche anche in Francia, Canada, Inghilterra; lo scopo non è solo quello di accrescere la conoscenza dello strumento, ma anche di trovare dei punti di contatto con la cultura occidentale, riponendo fede a quella certezza di trovare un unico denominatore tra culture storicamente trattate differentemente. In Francia, ad esempio, il compositore Jacques Burtin o Suora Chiara (Marie Ledoux) hanno spostato il baricentro dello strumento verso il passato, mettendolo davanti ad un canto religioso o andando a ripescare quelle fragranze rinascimentali o barocche che la kora naturalmente offre, ma la verità è che un futuro di un certo tipo i musicisti non lo riescono a vedere oppure con molta mestizia cercano di trovarlo in operazioni che si prendono carico di trovare dei raccordi con la tradizione occidentale. Di questi avvisi è la filosofia di Seckou Keita, senegalese da sempre convinto assertore della non aggressione, che ha cercato di racchiudere in un suo prodotto musicale le varie intonazioni che le diverse zone e culture delle regioni interessate hanno profuso: si parla di intonazioni perché a seconda del modo con cui è suonata, la kora può restituire immagini e benefici diversi; Keita, dopo neutrali formazioni in quartetto/quintetto in cui prevalente si rivelava l’aspetto canoro, un paio di anni fa ha, per esempio, reso decisamente più introspettiva la sua kora grazie ad una bella collaborazione fatta con l’arpista celtica Katrin Finch, un’operazione ricamata tantissimo sui network della new age. Ma è il suo nuovo lavoro, “22 strings”, con la kora portata nella sua presunta originaria formazione a 22 corde e resa protagonista assieme al canto, che si presenta come il suo lavoro più compiuto e maturo, che si dirige verso la purezza degli argomenti (molti dei quali autobiografici) e la forma inebriante e speranzosa della musica, una forma folk che invero fa allungare i nostri pensieri e che contiene un gran virtuosismo; magnetico si rivela l’omaggio al padre contenuto in Mikhi Nathan Mu (The invisible man) che vi propongo in video qui.
Così come una garanzia in materia si dimostrano i progetti di Ballaké Sissoko, che venne alla ribalta con Toumani Diabaté nel 1999 tramite “New ancient Strings“, una collaborazione spaventosa bella e vitale in cui venivano omaggiati i rispettivi padri putativi. Sissoko poi confermò la sua ispirata intonazione in organici fatti di strumenti e canto tradizionale (Déli e Tomora), una neutra collaborazione con Einaudi e un’inaspettata operazione di raccordo con il violoncellista francese Vincent Segal, con cui nel 2009 registrò uno splendido “Chamber Music“, un lavoro che con molta semplicità cercava di sposare aspetti umorali delle diverse tradizioni culturali: la fierezza e la narrazione del musicista del Mali con l’austerità, i pizzicati percussivi e l’orientamento melodico del francese, un’operazione che peraltro liberava Segal dalle pastoie insulse di Bumcello, musica leggera e sterile sperimentazione elettronica che attraversavano le sue idee; Sissoko e Segal hanno deciso di bissare quell’esperienza registrando una live perfomance musicale fatta nell’abitazione di Sissoko a Bamako, in una notte presumo intensa e stellata dando vita alla registrazione di “Musique de nuit”, che conferma quella eleganza delle forme e quell’inebriante concentrazione di sentimento e di rispetto per la vita e le sue manifestazioni essenziali.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.