Narrazioni ed eventi imprevisti

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Avere un contatto con il violinista Jason Kao Hwang è una cosa che mi riempe di enorme piacere. Hwang è importante per molti motivi, oltre ad essere un eccellente musicista: innanzitutto ha contribuito ad ammodernare la scena jazzistica ed improvvisativa newyorchese nel periodo dei novanta secolo scorso, quando l’improvvisazione libera sembrava sul punto di volersi estinguere; Hwang ancora oggi sottolinea come in quegli anni ci fosse una profonda discussione sugli sviluppi del free jazz e sull’accoglimento di formule musicali che facessero da alternativa alle solite commistioni con gli elementi della musica orientale “…there was also some acceptance in the new music community of decontextualized, violent, misogynistic imagery of Asians in service to a voguish, radical aesthetic…“. Hwang era un violinista piuttosto differente, con tanta sagacia sperimentativa, che non mancò di dare subito scossoni al perbenismo di un certo jazz grazie ad un proprio modo di suonare e concepire la struttura musicale: l’eredità programmatica di Hwang si avvertì immediatamente alla Sound Aspect R., con il trio di Unfolding Stone (con Mark Dresser e Geoffrey Gordon) e la creazione della The Far East Side Band con Yukio Tsuji e Sang-Won Park, un trio dalla connotazione politica piantato nella Chinatown e a disposizione dei diritti degli asiatici-americani: sono questi i momenti in cui Hwang imposta l’ottica rinnovata dell’improvvisatore e, sebbene il jazz si senta ancora poco, fa capire che le lingue possono intrecciarsi (la New World R. ha dato ampio spazio discografico a questi eventi). In effetti a Hwang non interessa il jazz a tutti i costi ma piuttosto creare il suo approccio: nel 2006 inaugura un nuovo corso con il quartetto Edge (con Taylor Ho Bynum, Andrew Drury e Ken Filiano) che incorpora ragnatele dell’improvvisazione che danno spazio alla confluenza degli elementi: il violino di Hwang si inoltra nei territori di Billy Bang, ma di fianco alla bagarre improvvisativa piazza anche elementi di adattamento alla tradizione asiatica (l’esperienza sarà rinnovata per altri due cds). Ma è con l’ottetto di Burning Bridge che Hwang ha probabilmente raggiunto il massimo delle sue aspirazioni e concezioni: tre mesi fa è stato pubblicato il secondo lavoro discografico dei Burning Bridge, dal titolo Blood, una summa incredibilmente avvincente di strumenti che suonano jazz, classico o tradizionale cinese; vengono utilizzati pipa ed erhu (Sun Li e Wang Guowei) di contro a tuba, trombone, tromba (Joseph Daley, Steve Swell, Taylor Ho Bynum) e al solito impianto ritmico basso-batteria (Filiano-Drury) e l’improvvisazione rilascia un perfetto clima equilibrato, con tanta energia e intraprendenza da parte di tutti i solisti. Blood è un contrappeso musicale e politico, poiché vuol ricordare che dal confronto (occidente-oriente nella stessa terra) le violenze fisiche e psicologiche possono essere riassorbite con un progetto, basta solo sferzare la rabbia, colmare gli stati bui e virare verso un’espressione colorata ed illuminante.
Parimenti si può scorgere una narrazione anche nel progetto del trio Joao Camoes-Gabriel Lemaire-Yves Arques, denominato Pareidolia. Il termine utilizzato per la creazione del gruppo è perfettamente in linea con quanto il significato del termine stesso vuole esprimere. Qui si lavora per la metafisica, grazie ad una musica che deve essere considerata come sentiero di viaggio: basato sulla prestanza delle tecniche estensive, Selon le vent (questo il titolo del lavoro che esibisce anche una bella cover artistica di Ines Coias) contiene due lunghe suites super-calibrate negli intenti, dove la viola glissa rendendosi poco riconoscibile, il sax si stempera o diventa un gabbiano, il pianoforte si segnala per le possibilità dei suoi interni. Nelle note interne si dichiara che la musica vuole essere “…an expedition full of unforeseen events…..they walk, fly or stop to gaze at the clouds. They get lost, they find themselves, they share ideas and dreams…“; non è un eufemismo dire che Himmelskino suscita vari pensieri dell’itinerario, un’auto che parte in sordina, un’area di sosta, il movimento degli ingranaggi di un’altalena, un libro di fantasie canterburiane; così come Herzkino (dove si aggiunge Alvaro Rosso al contrabbasso) è una frizzante sensazione che può trasportare nell’austerità di una chiesa, di fronte ad una situazione d’attesa sospettosa, portare in dotazione un temporale, donare un’arrampicata fugace, ottenere un panorama esteso di particolare benessere.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.